lunedì 19 agosto 2013

per chi suona la campana


Un’associazione di magistrati, Magistratura Democratica, non ha mai fatto mistero di avere una finalità politica.
Fin dalla nascita, avvenuta nel 1964, si è proposta di contrastare eventuali scelte, da essa ritenute sbagliate, che l’opposizione non fosse in grado di contrastare, e di prestare estrema attenzione alle dinamiche sociali, con gli aderenti a MD che dovevano scendere in campo come protagonisti e non fare da spettatori.
Queste tesi, elaborate nei loro congressi e rese di pubblico dominio, hanno poco a che fare con il funzionamento di uno Stato di diritto quale è, o dovrebbe essere, l’Italia.
Nello Stato di diritto vi è una netta separazione fra i tre poteri dello Stato: Leglislativo, Esecutivo, Giudiziario.
In uno Stato di Diritto che si rispetti, al profilarsi di un’invasione di uno dei poteri in ambiti che non gli competono, scattano degli antidoti che possono fare anche molto male, come la galera.
Nel 1993 venne varata una legge che modificò, fino a svuotarlo, l’istituto dell'immunità parlamentare, e ciò facilitò un’invasione, peraltro già iniziata, di settori della magistratura negli ambiti che non gli competevano.
Così il potere giudiziario determinò la mappa delle forze politiche, azzoppandone alcune, uccidendone altre e salvandone altre ancora (pochissime).
Oggi, con la legge Severino del 2012, il Parlamento dovrebbe espellere automaticamente chi abbia riportato una condanna definitiva superiore a 2 anni.
In questo modo il potere giudiziario stabilirebbe anche chi è eleggibile e chi no, in barba all’art. 66 della Costituzione che recita:
”Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.

Ora, che ci sia un problema di strapotere della giustizia in Italia, è sempre più evidente.
Lo riconoscono anche commentatori equilibrati come Panebianco o commentatori che, pur militando in aree politiche affini a quella di MD, riconoscono che si sta passando il limite: esempio classico è quello di Piero Sansonetti, che riguardo lo strapotere della magistratura si esprime senza giri di parole.
Qualche anno fa anche un big del PDS-DS, il Leader Massimo d’Alema, ammise che vi era un problema relativo all’amministrazione della giustizia che si doveva affrontare, ma ultimamente si sentono poche voci, nel mondo della sinistra, che hanno il coraggio di riconoscere che il problema c’è, e tale comportamento è anche comprensibile.
Infatti le botte della magistratura sono sempre ripartite equamente fra i loro avversari, e allora penseranno: “Chi me lo fa fare di intervenire?”.
Il ragionamento è, apparentemente, ineccepibile, ma c’è un ma: le cose non restano mai immobili, e quello che oggi ti sembra scontato potrebbe non esserlo più domani.
Cosa voglio dire? E’ molto semplice.
Ci sono dei principi che non  si possono considerare irrinunciabili solo se ti sono utili, e la divisione dei poteri nello stato di diritto è uno di questi.
Potrebbe anche succedere, anche se è improbabile, che il vento cambi direzione.
Come si fa ad escludere che, un giorno, un gruppo di giovani magistrati che hanno in uggia il comunismo con tutti i suoi derivati, fondino una associazione che diventa influente e che mena botte da orbi a coloro che oggi si sentono immuni dalle “attenzioni” della magistratura?
In questo caso, i “pesci in barile” si pentirebbero amaramente di non avere fatto  nulla per evitare di trovarsi in quella situazione, ma sarebbe troppo tardi.
Nessuno può considerarsi indipendente dal resto del consorzio umano: un’offesa fatta alla dignità di un uomo o di una donna non riguarda solo chi l’ha subita: riguarda tutti noi.
Questo è un concetto molto semplice, reso celebre dalla frase di un libro famoso: “Quando senti la campana suonare a morto non chiederti per chi suona: suona anche per te”.

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