Un’associazione di
magistrati, Magistratura Democratica, non ha mai fatto mistero di avere una
finalità politica.
Fin dalla nascita,
avvenuta nel 1964, si è proposta di contrastare eventuali scelte, da essa
ritenute sbagliate, che l’opposizione non fosse in grado di contrastare, e di
prestare estrema attenzione alle dinamiche sociali, con gli aderenti a MD che
dovevano scendere in campo come protagonisti e non fare da spettatori.
Queste tesi,
elaborate nei loro congressi e rese di pubblico dominio, hanno poco a che fare
con il funzionamento di uno Stato di diritto quale è, o dovrebbe essere,
l’Italia.
Nello Stato di
diritto vi è una netta separazione fra i tre poteri dello Stato: Leglislativo,
Esecutivo, Giudiziario.
In uno Stato di
Diritto che si rispetti, al profilarsi di un’invasione di uno dei poteri in
ambiti che non gli competono, scattano degli antidoti che possono fare anche
molto male, come la galera.
Nel 1993 venne varata
una legge che modificò, fino a svuotarlo, l’istituto dell'immunità parlamentare,
e ciò facilitò un’invasione, peraltro già iniziata, di settori della
magistratura negli ambiti che non gli competevano.
Così il potere
giudiziario determinò la mappa delle forze politiche, azzoppandone alcune,
uccidendone altre e salvandone altre ancora (pochissime).
Oggi, con la legge
Severino del 2012, il Parlamento dovrebbe espellere automaticamente chi abbia riportato
una condanna definitiva superiore a 2 anni.
In questo modo il
potere giudiziario stabilirebbe anche chi è eleggibile e chi no, in barba
all’art. 66 della Costituzione che recita:
”Ciascuna Camera
giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte
di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Ora, che ci sia un
problema di strapotere della giustizia in Italia, è sempre più evidente.
Lo riconoscono anche
commentatori equilibrati come Panebianco o commentatori che, pur militando in
aree politiche affini a quella di MD, riconoscono che si sta passando il
limite: esempio classico è quello di Piero Sansonetti, che riguardo lo
strapotere della magistratura si esprime senza giri di parole.
Qualche anno fa anche
un big del PDS-DS, il Leader Massimo d’Alema, ammise che vi era un problema
relativo all’amministrazione della giustizia che si doveva affrontare, ma
ultimamente si sentono poche voci, nel mondo della sinistra, che hanno il
coraggio di riconoscere che il problema c’è, e tale comportamento è anche
comprensibile.
Infatti le botte
della magistratura sono sempre ripartite equamente fra i loro avversari, e
allora penseranno: “Chi me lo fa fare di intervenire?”.
Il ragionamento è,
apparentemente, ineccepibile, ma c’è un ma: le cose non restano mai immobili, e
quello che oggi ti sembra scontato potrebbe non esserlo più domani.
Cosa voglio dire? E’
molto semplice.
Ci sono dei principi
che non si possono considerare
irrinunciabili solo se ti sono utili, e la divisione dei poteri nello stato di
diritto è uno di questi.
Potrebbe anche
succedere, anche se è improbabile, che il vento cambi direzione.
Come si fa ad
escludere che, un giorno, un gruppo di giovani magistrati che hanno in uggia il
comunismo con tutti i suoi derivati, fondino una associazione che diventa
influente e che mena botte da orbi a coloro che oggi si sentono immuni dalle
“attenzioni” della magistratura?
In questo caso, i
“pesci in barile” si pentirebbero amaramente di non avere fatto nulla per evitare di trovarsi in quella
situazione, ma sarebbe troppo tardi.
Nessuno può
considerarsi indipendente dal resto del consorzio umano: un’offesa fatta alla
dignità di un uomo o di una donna non riguarda solo chi l’ha subita: riguarda
tutti noi.
Questo è un concetto
molto semplice, reso celebre dalla frase di un libro famoso: “Quando senti la
campana suonare a morto non chiederti per chi suona: suona anche per te”.
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