lunedì 29 aprile 2013

Ordine dei Cavalieri di Lamberto


passaparola 130


Società multiculturale

Pubblichiamo un articolo uscito oggi, 29 aprile 2013, sul quotidiano "Il Giornale".
E' l'ennesimo articolo scritto da un giornalista che non indulge al buonismo di maniera: uno dei pochi, se non l'unico, che rivendica il dovere, da parte della società italiana, di difendere le proprie radici.
C'è tuttavia un aspetto molto singolare in questo giornalista: si tratta di un immigrato egiziano, oggi cittadino italiano.
Per questo vi sottopongo il suo articoo e chissà che non diventiate suoi lettori.
LB

mercoledì 10 aprile 2013

sipe basse


 DESTINAZIONE AREA SIPE BASSE


La vicenda Sipe è, da alcuni anni, al centro dell’interesse dei cittadini della nostra zona, soprattutto quelli di Spilamberto, Comune nel cui territorio si estende l’area di una delle più antiche fabbriche di polveri esplosive, fondata dagli Este alla fine del XV secolo.
Riassumiamo in breve i termini della questione.
Nel 2003 venne approvato il progetto di edificazione, nell’area della ex sipe, di circa 350 abitazioni.
Nel 2004 venne costituito il “Comitato per la difesa Sipe basse” che si opponeva alla decisione presa dal Comune. Il suddetto Comitato, dopo un inizio scoppiettante, affievolì la sua azione fino a non dare più segni di vita.
Nel frattempo, il progetto andava avanti fino ad arrivare alla vigilia dell’inizio dei lavori, anche se vi erano alcuni aspetti preoccupanti, e ne cito uno solo.
La proprietà del 96,25% del capitale della società, che avrebbe guadagnato somme ingenti dall’operazione, non si sapeva a chi apparteneva.
Infatti la suddetta proprietà agiva in parte attraverso banche fiduciarie, e in parte tramite società estere non tenute a svelare i nomi dei proprietari delle azioni.
Poi il cattivo andamento del mercato immobiliare si incaricò di far fallire un piano che avrebbe avuto un impatto ambientale devastante per Spilamberto.
Iniziò così un balletto di accuse per reciproche inadempienze fra il Comune di Spilamberto (che si era unito – per la gestione di questa operazione – ai Comuni di Savignano e Vignola) e la società costruttrice, culminato con il ricorso alle vie legali.
Ora, conoscendo la nostra Giustizia, questa vicenda potrebbe concludersi alle calende greche.
Riflettendo sulle varie possibilità di utilizzazione di quell’area, una delle ipotesi avanzate (dal prof. Bettini dell’Università di Venezia) era di farci un bosco che potesse rappresentare un luogo della memoria per le tante vittime della lavorazione degli esplosivi, vittime che costituivano un pesante tributo al relativo benessere di molte famiglie di Spilamberto.
Ma per fare ciò il Comune dovrebbe acquistare il terreno che poi non produrrebbe nulla.

Perché non pensare, allora, a una destinazione a basso impatto ambientale ma che possa produrre utili?
In questo modo l’area resterebbe ai privati, i quali potrebbero investire se ritenessero valido il progetto.
Poiché l’area di cui parliamo – le sipe basse – è di circa 50 ettari, perché non crearvi un Campo da Golf, che è uno degli sport più diffusi al mondo anche se in Italia comincia a diffondersi adesso?
Le infrastrutture necessarie sarebbero solo quelle funzionali alla pratica del Golf, e in parte potrebbero essere costituite dagli edifici esistenti, bell’esempio di archeologia industriale, che sono stati donati al Comune dagli ignoti proprietari e che stanno andando in malora.
Una sistemazione del genere sarebbe altamente compatibile con l’ipotesi di farci un luogo della memoria, perché il Golf è uno sport silenzioso e rispettoso dell’ambiente.
Inoltre, dal momento che i nostri concittadini morti sul lavoro in quei luoghi sono stati moltissimi, quale più bella forma di rispetto, per la loro tragica fine, di ricordarli dedicando al alcuni di loro le 18 (oppure 27) buche del percorso?

Si tratta di un’idea che non ha velleità di alcun genere: l’unico scopo è di dare un contributo alla soluzione di un problema molto complesso e attorno al quale ruotano molti (forse troppi) interessi.

passaparola 122


venerdì 5 aprile 2013

passaparola 119


la culla del rovescio


LA CULLA DEL ROVESCIO
Ci sono due fatti di cronaca recente che fanno riflettere.
La prima è la ponderosa questione del pagamento dei beni e dei servizi che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, ha acquistato da imprese private.
E’ una questione che va avanti da mesi ma che solo in questi giorni sembra, anzi sembrava, avviata ad avere uno sbocco positivo.
Qualche mese fa, Alfano dichiarò, grosso modo, che lo Stato aveva gli stessi diritti e gli stessi doveri dei cittadini, perciò doveva darsi da fare per onorare i debiti.
Per un normale cittadino, Alfano aveva scoperto l’acqua calda: è ovvio che ciascuno deve onorare i debiti, e a maggior ragione lo Stato che, in caso di inadempienza da parte di un cittadino, lo sanziona con pene pecuniarie e, a volte, col carcere.
Invece, da parte dei padroni del vapore, apriti cielo! Il capo del governo, Monti, disse che Alfano parlava da irresponsabile, e questo la dice lunga sul rispetto di questo presunto statista, e di tanti suoi colleghi sinceramente democratici, per gli italiani.

Un’altra vicenda che fa riflettere è quella relativa a Ruby, la giovane al centro del processo in cui l’accusa tende a sostenere che Berlusconi è un magnaccia.
Se ne parla oggi solo perché Ruby ha letto una dichiarazione pubblica di fronte ai mass media, ma le cose che ha detto in gran parte si sapevano già.
In particolare ella sostiene che è inammissibile che una persona sia la parte lesa in un processo nel quale non viene nemmeno sentito il suo parere sui fatti che costituiscono l’impalcatura del processo stesso.
In sostanza gli istruttori del processo le dicono che lei ha subito delle offese e, se per caso non se ne è accorta o non le ha percepite come tali, è lo stesso: ci pensano loro a stabilire chi è la vittima e chi è il carnefice senza bisogno di sentire cosa ne pensa la vittima.
Ciò genera il dubbio che l’impalcatura del procedimento in atto possa cadere ascoltando non un testimone qualunque, ma la parte lesa, in nome della quale quell’impalcatura è stata costruita.
E allora non la si ascolta perché questa impalcatura deve restare in piedi.

Riflettendo sui casi citati c’è da chiedersi se noi italiani si viva davvero in uno stato di diritto nel quale, per l’appunto, il rispetto dei diritti del cittadino deve sempre e comunque ispirare il comportamento della pubblica amministrazione.
Quelli citati sono solo due aspetti, sufficienti però a insinuare nel normale cittadino il dubbio che, più che nella “Culla del Diritto”, in Italia si viva nella “Culla del Rovescio”. 

martedì 2 aprile 2013

Re Giorgio


RE GIORGIO


Re Giorgio cominciò a fare politica quando aveva ancora i calzoni corti.
In Italia c’era una dittatura e lui voleva cambiare il mondo.
Che fare? Giorgio si iscrisse al partito comunista e scalò agevolmente i gradini delle gerarchie fino a diventare uno dei personaggi più influenti del PCI, partito che, nell’immediato dopoguerra, si oppose a tutto ciò che poteva farci uscire dalle macerie della guerra.
Infatti il PCI combattè duramente, mobilitando anche la piazza, contro gli aiuti economici offertici dagli americani attraverso il “Piano Marshall”, contro la collocazione atlantica dell’Italia, contro l’aderenza alla NATO.
Giorgio condivise sempre la linea del partito e nel 1956 non ebbe dubbi: i controrivoluzionari ungheresi andavano schiacciati e il nuovo leader Imre Nagy, troppo tenero con gli insorti, andava impiccato, ciò che avvenne nel giugno del 1958.
Per inciso, anche Togliatti fu favorevole all’impiccaggione di Nagy: chiese soltanto che venisse impiccato dopo le elezioni italiane, che si sarebbero tenute il 25 maggio 1958, e fu accontentato.
Poi, nel 1968, l’aspirazione dei cecoslovacchi ad un comunismo dal volto umano, la cosiddetta “Primavera di Praga”, fu stroncata dai carri armati sovietici, e Giorgio non figura fra coloro che, avendo criticato l’intervento sovietico, furono espulsi dal PCI.
Dopo il crollo dell’URSS la carriera di Giorgio, lungi dall’avere battute d’arresto che sembravano inevitabili (e non solo per lui), inizia a decollare: diviene Presidente della Camera dei Deputati, poi Ministro dell’Interno e, per venire alle cronache più recenti, Presidente della Repubblica, ruolo che interpreta con la disinvoltura che, abbinata al suo naturale “aplomb”, lo fa sembrare un re.
In questa veste l’ironia del destino lo manda a Budapest a portare fiori sulla tomba del già citato Imre Nagy, impiccato 50 anni prima (la foto si riferisce a quell’avvenimento): è un’impresa ardua che richiede molto “coraggio”, ma Giorgio la supera brillantemente.
Intanto, sul piano nazionale, non smette di sottolineare la centralità del Parlamento, e quando il governo Prodi gode della maggioranza di un solo voto dovuto, fra l’altro, al voltagabbana Follini che era stato eletto nello schieramento opposto a quello di Prodi, Giorgio dice che il Parlamento, finchè ha una maggioranza, non si tocca.
Siamo nel 2007, il governo non reggerà e così le nuove elezioni andranno al centro-destra.
Ed ecco che Giorgio, nel 2011, non è più sicuro della centralità del Parlamento. Infatti il Governo (Berlusconi) non è stato sfiduciato in Parlamento ma lui, Re Giorgio, pensa che sia meglio cambiarlo, e così lavora nell’ombra per mesi fino a farci il regalo che tutti gli taliani sognavano: essere governati da Monti, non prima di averlo nominato senatore a vita.
Ora, a parte il fatto che si può nominare un presidente del consiglio anche al di fuori del parlamento, è un mistero quali siano i meriti di Monti tali da giustificare il laticlavio, ma è invece noto quanto dobbiamo sborsare noi contribuenti: 300.000 euro l’anno.
Nella sua veste di presidente del CSM Giorgio si batte con coraggio perché le intercettazioni illegali vengano distrutte e non divulgate.
Vince lo scontro ma, purtroppo, le intercettazioni distrutte sono solo quelle fatte a suo danno.
Infine ci regala una commissione di saggi che risolverà quello che tutte le commissioni della nostra storia repubblicana hanno risolto: nulla.
Dulcis in fundo, ci ricorda che abbiamo ancora Monti a capo del governo: eravamo così fortunati e ce ne eravamo dimenticati!
Per fortuna c’è lui, Re Giorgio, a ricordarcelo.