sabato 29 marzo 2014

le primarie del pd


Le primarie inventate dal PD sembrano studiate appositamente per creare problemi all’interno del partito stesso, e quanto avvenuto alle ultime primarie di Spilamberto, che erano anche le prime, lo ha confermato.
In primo luogo, la breve storia delle “primarie PD” insegna che spesso la vittoria va al candidato non sponsorizzato dal partito.
E’ un aspetto sorprendente, in un partito che fino all’avvento delle “primarie” poteva candidare anche un palo della luce sicuro che, nelle regioni rosse come la nostra, sarebbe stato eletto.
A creare questa situazione concorrono sia il rinnovamento anagrafico, sia una generica voglia di rinnovamento che è nell’ordine delle cose ed anche, e non marginalmente, il regolamento che prevede che possano esprimersi anche i sedicenni e gli extracomunitari tutti, anche coloro che non avranno diritto al voto nelle elezioni vere.
Inoltre, la prevista iscrizione dei votanti all’albo di coloro che si riconoscono nel PD o nelle liste alleate, non scoraggia i votanti più spregiudicati i quali, anche se di idee lontane dalla sinistra, non hanno difficoltà ad accettare l’accennata iscrizione, potendo così influenzare il verdetto finale.
In secondo luogo, l’esito delle “primarie” crea nel partito lacerazioni che non sempre vengono ricomposte, con effetti negativi a breve e anche a medio termine.
A questo punto nasce una domanda spontanea: perché il PD ha voluto questa strategia pre-elettorale che crea enormi problemi? E chi ne è stata la mente?
A quest’ultimo quesito non si può rispondere con certezza, ma il fatto che in America facciano le primarie fa venire in mente Walter Veltroni, già direttore del quotidiano “l’Unità” e segretario del partito, che stravede per tutto ciò che viene da oltre Atlantico.
Ricordiamo anche il suo slogan elettorale: “I care”, ovvero “mi prendo cura, mi preoccupo per te”.
Tuttavia, ammesso che l’ispiratore sia Veltroni, le primarie americane sono cosa completamente diversa, regolata da leggi che non consentono trucchetti.
Più difficile è capire perché il PD abbia creato, e tenga in piedi, un meccanismo che gli crea tanti problemi.
E’ possibile che l’intento sia semplicemente quello di coinvolgere i cittadini nelle decisioni, un impulso “populistico” apprezzabile.
C’è anche chi dice che si tratta solo di un affare, perché 2 euro per parecchi milioni di persone ad ogni consultazione elettorale, costituiscono un boccata d’ossigeno economico per un partito orfano dei dollari dell’URSS.
Ma vi è un’altra ipotesi: come ebbe a dire Achille Occhetto, ultimo segretario PCI e autore della svolta della Bolognina, “il nostro è un partito che viene da lontano”.
Ora, non sarà che, dopo avere camminato tanto, il PD debba sedersi un po’ per riposarsi e riordinare le idee?

venerdì 21 marzo 2014

eurolandia


Di Europa ho sentito parlare fin da quando ero ragazzo.
Il 25 marzo 1957 vennero firmati i trattati di Roma in virtù dei quali nacquero la CEE - Comunità Economica Europea – e l’EURATOM – Comunità Europea dell’Energia Atomica –.
Ne facevano parte sei Paesi: Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo.
A Bruxelles venne costruito un edificio a immagine dell’atomo che simboleggiava l’entrata nel futuro, e le attese della gente, soprattutto dei giovani, erano enormi.
 Poi, nel 1992, vi fu il trattato di Maastricht che prevedeva, fra l’altro, l’introduzione della moneta unica nei paesi aderenti alla CEE a partire dal 1° gennaio 2002.
Ora, era sotto gli occhi di tutti che l’Europa, politicamente, non esisteva ancora, né come Stato unico né come stato confederato. Per fare passare una qualsiasi decisione occorreva il voto unanime degli associati, e si può dire tranquillamente che l’Europa non esiste nemmeno oggi.
Nell’attesa che andasse in vigore questa portentosa moneta io, da profano, mi chiedevo: “Ha senso che uno Stato che non esiste batta moneta propria?”
Infatti, ho sempre pensato che solo uno Stato sovrano possa legittimamente battere moneta, e l’Europa non era uno Stato.
Però, pensavo, sono troppo ignorante per potere dare dei giudizi: vi saranno aspetti, a me sconosciuti, che renderanno sensata l’introduzione dell’euro.
Ebbi nuovi dubbi quando il governo di allora fece carte false per entrare nell’euro che pareva l’eldorado, e appioppò agli italiani una tassa straordinaria per entrarvi.
Poi venne il giorno fatidico, 1° gennaio 2002, e cominciò un incubo.
Tornando alla mia ignoranza, pensavo che un cambiamento di quella portata dovesse essere accompagnato da un lungo affiancamento delle due monete, la vecchia e la nuova, per evitare speculazioni e furberie.
Io pensavo ad almeno tre anni, ma non fu così.
L’affiancamento delle due monete durò 59 giorni, un lampo, dopodichè prese forma, nella mente degli italiani, quella strana forma di equazione in base alla quale, quando si spendevano 10 euro, si aveva l’impressione di avere speso 10.000 lire.
In breve tempo capii che non ero stato poi tanto ignorante a ritenere che introdurre l’euro fosse un errore sia nella sostanza che nelle modalità di passaggio da una moneta a un’altra.
I fatti lo dimostravano, e lo dimostrano, in modo impietoso.
La mia autostima aumentò, ma fu l’unica soddisfazione che ebbi. 
Da allora sono passati 12 anni e gli italiani stanno assai peggio di prima, perchè il loro potere di acquisto, con l'avvento dell'euro, è stato quasi dimezzato.
L’Europa non è altro che una pletora di parlamentari che legiferano su questioni insignificanti, come il diametro dei piselli, e non riescono a fare altro, nemmeno a darsi uno statuto.
Eppure stanno là, con due sedi parlamentari, perché una sola non bastava, con eserciti di segretari, portaborse, con biglietti d’aereo gratis per spostarsi dai rispettivi paesi di origine a Bruxelles e/o a Strasburgo.
Quest’ultima sede aggiuntiva costa 53,7 milioni di euro l’anno per una media di 48 sedute.
Per leggere il conto delle spese occorre avere nervi saldi: 7,7 milioni l’anno per la sicurezza, 4,3 milioni l’anno per le bollette della luce, 18 milioni per costi di viaggio e trasporto di documenti.
Questo è ciò che abbiamo ottenuto: un nano politico che, all’ombra di un pachiderma burocratico, vuota le tasche di una popolazione eterogenea che diventa omogenea solo all’atto di sborsare.
Quando penso alla consistenza di Eurolandia, il cui stesso nome evoca un Parco Divertimenti (come Fiabilandia), e alle speranze nell’Europa che avevo io e i ragazzi della mia generazione, immancabilmente mi entra in testa un passo di Leopardi: “Quando sovvienmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato .....”.

lunedì 10 marzo 2014

quote rosa


Si fa un gran parlare, in questi giorni, di quote rosa, che consistono nell’assegnare alle donne quote di rappresentanza, e quindi di potere, per legge.
Occorre dire che l’emancipazione femminile italiana è assai recente, se si pensa che fino al 1946 la donna non aveva diritto al voto nelle consultazioni elettorali.
Anche da un punto di vista pratico, la donna aveva sempre un ruolo subalterno, perché doveva badare alla casa, allevare i figli, e ubbidire al marito che, quasi sempre, comandava.
Non parliamo poi degli stereotipi: non era concepibile che una donna entrasse in un bar, che fumasse o che, vade retro, guidasse un’automobile.
La donna, insomma, era considerata inferiore all’uomo e non solo fisicamente, come sosteneva un gigante della nostra cultura come Giacomo Leopardi.
Nel Canto “Aspasia” egli così parla riferendosi alla donna: “............ Non cape in quelle anguste fronti ugual concetto  ................... Che se più molli e più tenui le membra, essa la mente men capace e men forte anco riceve ........”
Ma si tratta di parole scritte in un Canto struggente per un amore non corrisposto, parole viziate dal dolore, e non si possono prendere sul serio, anche se scritte da un grande intelletto.
Inoltre, studi recenti hanno stabilito che il quoziente di intelligenza femminile supera, spesso, quello maschile.
Tornando al secolo scorso, dal 1946 ad oggi è passata molta acqua sotto i ponti, forse anche troppa. Le donne lottarono per molti anni per la perfetta parità di diritti con gli uomini e l’ottennero, anche rinunciando a qualche prassi vantaggiosa che teneva conto della loro diversità biologica, come i turni di notte che erano, un tempo, riservati agli uomini.
In questo modo le donne si emanciparono pagando un prezzo salato perché, oltre all’assoluta parità sul lavoro, dovevano continuare a curare la casa e i figli.
Poi venne la rivoluzione sessuale che modificò non poco i ruoli storici dei sessi: l’uomo è sempre meno cacciatore e la donna è sempre meno preda.
Sul piano professionale, oggi vi sono tante donne che, in tutti i campi, si sono affermate perché intelligenti, capaci e determinate, ma non perché donne.
E arriviamo all’oggi.
Assegnare alle donne una quota fissa di rappresentanti in parlamento equivale a farne una sorta di specie protetta, che è quasi come ghettizzarla.
Infatti il potere sembra dire: “Io ti do un ruolo non perché lo meriti, ma perché io sono buono e ho fatto una legge per proteggerti”.
Se io fossi una donna mi arrabbierei, in base al seguente ragionamento: “perché mi vuoi assegnare una percentuale? Sei sicuro che tu, uomo, apparterrai sempre alla categoria maggioritaria? Domani potresti essere tu dalla parte più debole, e io non ti proteggerei affatto. Infatti io non voglio regali, voglio solo essere ai blocchi di partenza sulla tua stessa linea, poi chi correrà più forte arriverà”.
E voglio chiudere con alcune parole tratte dall’articolo di una nota antropologa, Ida Magli, apparso sul quotidiano “il Giornale” del 7 marzo scorso, parole che condivido. Riferendosi agli uomini che vogliono introdurre le quote, ella scrive:
«Diffidiamo: sembrano voler dire “gestiamo noi le donne, prima che i posti se li prendano da sé e ci superino”. No, fermiamoli noi. Fermiamoli tutti, uomini e donne che vogliono imporre le quote,
che sono solo il miglior modo per continuare a pensare che le donne siano inferiori. »

p 208 sistema savignano

Sul blog "Eco del Panaro" è apparso oggi un post di Pier Luigi Garagnani sul tema del governo degli enti locali e sulla differenza notevole che c'è fra un'elezione per il Governo del Comune e un'elezione per il Governo dello Stato. 
I cittadini di Savignano sembrano avere compreso quella differenza, e cinque anni fa hanno portato al governo una lista diversa da quella storica targata PCI e derivati.
Ora si accingono a tornare alle urne per confermare quell'esperienza, oppure bocciarla. 
Propongo ai lettori il post di Garagnani, che ritengo molto interessante.


martedì 4 marzo 2014

paga e tasi




In questi giorni è arrivato il conguaglio della tassa sul pattume, che i governanti hanno chiamato Tasi, mantenendo l’adagio che ci accompagna da sempre: alla tassa viene dato un nome nuovo, i contribuenti vengono rassicurati che la tassa diminuirà, ma la tassa nuova è sempre più pesante di quella vecchia.
Questo riguarda un aspetto a livello governativo, tanto più esteso quando governa la sinistra.
Ricordiamo il disagio del governo Letta nel dovere sopprimere l’Imu, praticamente si scusò con i contribuenti rassicurandoli che, appena possibile, l’avrebbe reintrodotta, concetto espresso, pochi giorni fa in un comunicato stampa, anche dal Sindaco di Spilamberto Lamandini.
Venendo ai fatti di casa nostra, fino al 2001 il servizio era gestito direttamente dal Comune in modo abbastanza accurato e con un costo ragionevole della bolletta.
Nel 2002 entrò in funzione Meta, una SPA a capitale totalmente pubblico che, secondo i governanti locali,  avrebbe reso un servizio migliore, perché più snella del Comune e più specializzata.
Risultato: servizi un po’ peggiori e bolletta aumentata.
Nel 2005 Meta confluì in Hera, società gemella a capitale pubblico, ma quotata in Borsa.
Sulla sensatezza di una impresa a capitale interamente pubblico che, producendo servizi pubblici di primaria necessità, si fa quotare in Borsa, rimando il lettore all’articolo riprodotto in fondo, pubblicato nel 2009, che affronta proprio questo aspetto.
In questa sede voglio sottolineare che, per incrementare i costi delle bollette, i governanti ce la stanno mettendo tutta, erogando ai vertici Hera gli stipendi più alti a livello nazionale.
Il presidente Tomaso Tommasi di Vignano percepiva, nel 2012, 475.836 euro l’anno, mentre l’AD Maurizio Chiarini ha percepito, nel 2011, uno stipendio di 518.133 euro.
Sempre nel 2011 i due direttori generali Umberto Barilli e Stefano Venier hanno percepito rispettivamente 422.234 e 419. 388 euro, mentre nella pletora di consiglieri di amministrazione c’è gente, come la modenese Mara Bernardini, che ha percepito, sempre nel 2011, 83.333 euro che, per alcune sedute annuali, non è poco.
Considerando che l’importo delle bollette è in costante aumento, viene il dubbio che ai governanti locali stiano più a cuore gli stipendi dei Boiardi che le bollette dei Peones.

- in alto una foto della serata conclusiva di fine estate all'ippodromo
di Cesena sponsorizzata da Hera
- a lato la tabella con gli aumenti delle bollette dal 2001 ad oggi
- in basso l'articolo pubblicato sull'Eco del Panaro n. 34 del marzo 2009