mercoledì 28 gennaio 2015

zanzare 19

LEZIONE DI DEMOCRAZIA

Della nostra sinistra è noto l’alto tasso di democrazia: non a caso il partito capofila della sinistra si è autonominato Partito Democratico. 
Per questo possiamo stare certi che, dopo avere messo uomini suoi nei posti chiave delle istituzioni, come Grasso Presidente del Senato e Boldrini Presidente della Camera, non vorrà imporre un proprio uomo anche nella massima carica, se non altro per una questione di rispetto delle opposizioni, come ha spiegato bene la deputata PD Ileana Argentin (nella foto) in una recente intervista che l’ANSA ha riassunto nel seguente comunicato: 

ANSA - ROMA, 26 GEN - Il presidente della Repubblica “deve essere una persona perbene e per me una persona perbene non sta a destra. Io non la voterò mai. Troviamo uno di noi”.
Così, a quanto si apprende, la deputata veltroniana Ileana Argentin chiarisce la sua posizione all’assemblea dei deputati Pd con Matteo Renzi.

giovedì 22 gennaio 2015

l'archivio di spilamberto 10 - la petizione

Come già noto, un gruppo di cittadini di Spilamberto ha promosso una petizione per chiedere al sindaco di non spostare l’Archivio Storico di Spilamberto dalla sua naturale sede, ovvero il territorio di Spilamberto, ad una sede posta al di fuori del territorio comunale di Spilamberto, nella fattispecie in territorio di Vignola.
La petizione era firmata da 902 cittadini e fu presentata il 29 settembre 2014.
Ora, lo Statuto del Comune prevede che alle petizioni popolari il sindaco debba rispondere entro 60 giorni dalla data di presentazione.
Passati invano i 60 giorni, i promotori mandarono una lettera con la quale segnalavano di non avere avuto la risposta alla petizione.
La spiegazione più plausibile era che si fosse trattato di una dimenticanza, e in questo caso non ci sarebbe stato niente di strano, perché commettere un errore rientra nell’ordine delle cose, nessuno si sarebbe scandalizzato e non c’erano certo gli estremi per farne una questione di Stato: la cosa sarebbe finita lì, magari con le scuse del responsabile della macchina comunale, cioè il sindaco.
Ma non si è trattato di una dimenticanza: il sindaco ha chiarito di non essere tenuto a comunicare nulla in base all’articolo 5 del Regolamento degli Istituti di Partecipazione Comunale.
Tuttavia il suddetto articolo, che riproduco a fondo pagina per agevolare i lettori, riguarda solo le modalità di accertamento della risposta da dare alla petizione, e non esime il sindaco dal dovere di rispondere entro 60 giorni.

E allora c’è da rimanere stupefatti, perché si tratta di un comportamento che, lungi dall’essere sorretto dal rispetto dei regolamenti degli Istituti di democrazia diretta, risulta essere una violazione dei regolamenti medesimi, nonché una mancanza di rispetto per i promotori della petizione.



lunedì 19 gennaio 2015

presidente nuovo costituzione vecchia

Le elezioni per il nuovo Presidente della Repubblica sono alle porte: vediamo le caratteristiche principali di tre quotati aspiranti alla carica.


Amato
Craxi, per avere osato proporsi come leader di tutta la sinistra, fu annientato da PCI ed eredi, che orchestrarono una campagna mediatica per screditarlo, additandolo come unico ladro della nostra bella repubblica, nonostante tutti i partiti, compreso il PCI, facessero ricorso a forme di finanziamento illecito.
Amato era il braccio destro di Craxi da molti anni, ed era logico pensare che dovesse subire la stessa sorte, ma avvenne un miracolo: quello che per Craxi era l’inizio di un Calvario, per il suo alter ego fu l’inizio di una radiosa carriera all’ombra del partito che aveva stroncato il suo capo.
Lo smarcamento da Craxi fu talmente completo da impedirgli perfino di andare al suo funerale.

Prodi
E’ stato presidente dell’IRI per oltre 7 anni, e la sua presidenza è stata contrassegnata dalla vendita di imprese pubbliche a privati cittadini a prezzi di liquidazione.
Solo a titolo di esempio cito la vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat per un prezzo che era circa la metà di quello che la Ford era pronta a sborsare. In questo modo, oltre al danno erariale, il marchio Alfa Romeo si è confuso nella galassia Fiat che, se non eccelleva nella produzione di automobili, eccelleva sicuramente nell’arte di spillare soldi ai contribuenti italiani agitando la minaccia della cassa integrazione come una clava.
Non meno clamoroso è stato il caso della società alimentare SME, che doveva essere ceduta a De Benedetti per 400 miliardi. Il premier di allora, Craxi, si oppose, e la SME venne venduta, dopo alcuni mesi, per 2000 miliardi.
Forse qualcuno penserà che Prodi sia stato indagato per queste vicende, ma nient’affatto: per la vicenda SME furono processati coloro che, facendo un’offerta maggiore di 400 miliardi, fecero fallire il tentativo di regalo.

Monti
E’ improvvisamente apparso nel nostro firmamento politico, accompagnato da un rullo di tamburi, con un ruolo preciso: il salvatore della Patria.
Per prepararsi meglio all’immane fatica, ha ricevuto il laticlavio che spetta a coloro che hanno dato lustro all’Italia per alti meriti artistici o scientifici, anche se i suoi, di meriti, erano ignoti.
Ha applicato ricette che, nel giro di un anno, hanno ridotto l’Italia peggio di quella che aveva trovato. Ha parlato non di revisione della spesa ma di spending review, e noi italiani eravamo molto contenti del suo sfoggio di cultura cosmopolita e ci dicevamo: siamo sicuramente in buone mani, parla l'inglese e ha studiato perfino alla Bocconi!
Purtroppo, non ha eliminato nessuna spesa, ma ha aumentato le imposte con ricette stantie, come quella dell’aumento dell’accise sulla benzina che, fra l’altro, ha procurato all’erario un gettito complessivo inferiore a quello dell’anno precedente.
Chissà, forse alla Bocconi insegnavano che i peones comprano sempre la stessa quantità di beni, indipendentemente dal loro costo.
Dopo un anno di salvataggio, l’Italia stava peggio di prima: maggiore disoccupazione, maggior numero di imprese chiuse o emigrate, minori consumi.

Da questi brevi profili risulta che, molto probabilmente, comunque vada sarà un’insuccesso.
Perché?
Perché il presidente non è eletto dai cittadini ma dal parlamento, e perché sia eletto dai cittadini bisogna modificare la Costituzione.
La nostra Costituzione è quella del 1948, creata all’indomani di una guerra perduta malamente e di una dittatura ventennale, ed è ormai obsoleta, alla faccia della RAI che ci ha fatto sopra una trasmissione - la più bella del mondo - magnificandone i pregi.
Non è nemmeno vero che non si sia fatto nulla: nel 2006 la Costituzione venne modificata con una legge che, non avendo avuto una maggioranza qualificata, rendeva necessario un referendum.
Il PD lottò per la bocciatura della suddetta legge dicendo che la sua approvazione avrebbe costituito un attentato alla democrazia, mentre prevedeva ciò che tutti dicono essere necessario: riduzione dei parlamentari, soppressione del bicameralismo perfetto, presidente eletto dagli italiani.

Domanda: come è possibile che la politica, nella quale il Pd ha un ruolo cospicuo, modifichi la Costituzione mentre la RAI, territorio della politica, paga milioni di euro a un comico “di area” perché dica che la Costituzione è meravigliosa?

Nella foto del 1948 il primo presidente pro-tempore, Enrico de Nicola, alla firma della Costituzione.

martedì 13 gennaio 2015

lo struzzo

Il mese scorso ho scritto della vicenda che vedeva l’Ordine dei Giornalisti accusare uno dei loro iscritti, Magdi Allam, di “islamofobia”.
Era una vicenda singolare, considerato il clima non proprio tranquillo che i pacifici cittadini europei stanno vivendo.
Le vicende di politica internazionale sono note: il mondo occidentale ha fatto alcune scelte discutibili.
L’annientamento di Saddam ha tolto un dittatore dalla scena politica, ma l’Iraq non riesce ad evolversi verso la democrazia, mentre al suo interno è nato l’ISIS, che sta terrorizzando mezzo mondo.
Anche la scelta di scaricare l’unico elemento di stabilità in tutto il Medio Oriente, come l’Egitto di Mubarak, si è rivelata una scelta opinabile, e ha ridato fiato al fondamentalismo islamico che, soffocato dall’attuale presidente, mantiene l’Egitto in un perenne clima da guerra civile.
Insomma, l’Occidente ha sottovalutato il pericolo del terrorismo di matrice islamica, e adesso si trova in gravi difficoltà soprattutto dopo il dramma dell’attacco al giornale parigino di pochi giorni fa.
Tornando a bomba, l’accusa rivolta a Magdi Allam di “islamofobia” è stata valutata dall’Ordine dei Giornalisti che ha assolto Allam, il quale potrà così continuare a fare il giornalista.
Finalmente si è chiusa una vicenda che lasciava perplessi ma, purtroppo, se ne è aperta un’altra che lascia ancor più perplessi, e riguarda anch’essa Allam.
Il giornalista di origine egiziana era stato rinviato a giudizio per un articolo, pubblicato il 4 settembre 2007, nel quale sosteneva le sue solite e solitarie tesi e accusava gli italiani di essere sottomessi “all’arbitrio o alla violenza di chi sta imponendo uno stato islamico all’interno del nostro traballante Stato sovrano”.
Sosteneva, inoltre, che anche all’interno di associazioni come l’UCOII – Unione delle Comunità islamiche italiane – si legittimava la condanna a morte dei nemici dell’Islam.
Nella sentenza di primo grado, il Tribunale di Milano lo aveva assolto, mentre pochi giorni fa la sentenza di appello lo ha condannato perché ha diffamato l’UCOII.
Questa sentenza arriva, paradossalmente, proprio nei giorni della tragedia di Parigi e lascia sbigottiti, anche se non è la prima: la procura di Milano voleva dare 10 anni di galera al capo dei servizi segreti che avevano sequestrato e rispedito a casa Abu Omar, terrorista riconosciuto tale dalla stessa Procura che gli ha inflitto 6 anni di galera; in aggiunta, Abu Omar avrebbe dovuto essere risarcito con 1,5 milioni di euro.
In soldoni, il problema non sembra essere il terrorismo di matrice islamica, ma coloro che operano per salvaguardare le nostre millenarie radici.
Intervistato, Allam ha dichiarato: “Continueremo a imitare lo struzzo votato al suicidio nell’attesa che i terroristici islamici attuino la loro giustizia qui a casa nostra?”

Forse sì: è questo che vogliamo.

lunedì 5 gennaio 2015

il presidente si dimette

Sta per concludersi, secondo quanto da lui stesso dichiarato con il discorso di fine d’anno, la parabola del Presidente della Repubblica Italiana Napolitano, ovvero l’arbitro dell’unità nazionale, arbitro che, a un certo punto della sua missione, ha incominciato a prendere parte al gioco.
Quando fu eletto, gli avevo accordato la mia fiducia perché credo che, fino a prova contraria, sia giusto credere alla buona fede delle persone.
D’altra parte Napolitano, all’interno di quel monolito che era il PCI, aveva sempre rappresentato il volto più presentabile del comunismo italiano, con un tratto signorile che giustificava la sua leadership dell’ala del partito cosiddetta “migliorista”, diversa, almeno così sembrava, da quella rivoluzionaria di Paietta, il chiassoso “ragazzo rosso”.
E vi era un altro aspetto che mi induceva alla prudenza prima di esprimere giudizi: vi sono persone attivissime e appassionate nell’ambito del proprio partito le quali, trovandosi a capo di una pubblica istituzione che non riguarda più una parte, ma l’intera società, cambiano letteralmente pelle.
Insomma, vi sono uomini che hanno il senso delle istituzioni, e le prime uscite pubbliche di Napolitano non escludevano che potesse far parte di questa schiera, piuttosto ridotta, di uomini.
Ad esempio, quando venne istituito il giorno del ricordo in memoria delle migliaia di italiani perseguitati e uccisi dalle milizie di Tito, Napolitano parlò senza giri di parole delle reticenze colpevoli di chi non voleva ammettere la realtà: si era trattato di una pulizia etnica.
Anche l’ammenda che fece del proprio passato andando a portare fiori sulla tomba di Imre Nagy, il presidente ungherese impiccato dopo la rivolta del 1956, faceva pensare a un cambio di marcia del presidente.
Poi la stagione delle aspettative è finita, e la dura realtà ha lentamente preso il sopravvento.
Nel 2007 il presidente benedisse il comportamento di Follini che, eletto senatore nella CDL – Casa delle Libertà – passò allo schieramento opposto consentendo al governo Prodi di non cadere per un voto, il suo.
La difesa di un voltagabbana, da parte del presidente, non era il massimo, ma si poteva anche comprendere: la caduta di un governo, secondo il presidente, poteva avvenire solo in Parlamento e, inoltre, la nostra bellissima Costituzione dice chiaramente che il parlamentare eletto non ha alcun vincolo di mandato con gli elettori, ai quali può fare “marameo” quando vuole.
Poi il presidente, dopo le elezioni stravinte dal PDL, cominciò a stuzzicare l’ego un po’ abbondante del presidente della Camera Fini, che abboccò, e mandò in malora non solo il PDL, ma anche la grande fiducia che gli elettori avevano riposto in una governabilità targata centro-destra.
Tuttavia, scalzare il governo Berlusconi era difficile, perché in parlamento non veniva mai sconfitto.
Allora il presidente, alla faccia della centralità del parlamento che, nel caso Follini, era intangibile, mandò a casa Berlusconi e chiamò Monti, un cavallo bolso al quale gli italiani pagheranno lo stipendio di senatore finchè vivrà.
Molti dicono che non poteva fare altro, perché c’era lo spread che cresceva, ma la verità, emersa da testimonianze di importanti giornalisti e di ministri di Stati esteri, è che lo spread veniva fatto crescere artificiosamente per cambiare governo senza pagare il dazio delle elezioni, mentre anche il presidente, insieme a Frau Merkel, prendeva parte a questa manovra che con la democrazia non aveva nulla a che fare: veniva infatti mandato a casa chi aveva vinto le elezioni per sostituirlo con chi non aveva vinto nulla, proprio come ai tempi del ribaltone del famigerato Scalfaro, la cui spregiudicatezza sembrava ineguagliabile.
Poi, dopo il fallimento di Monti e le elezioni, andò al governo Letta il quale, per volere del presidente che aveva tanto a cuore la centralità del parlamento, venne sostituito da Renzi senza elezioni.
Che dire di un simile presidente che, con una sequela di frasi precotte e di luoghi comuni, annuncia che sta per dimettersi?
Ci si può solo augurare che il suo successore operi in modo migliore di chi lo ha preceduto, ma purtroppo
c’è un detto, spesso veritiero, secondo il quale il peggio non muore mai.

Che Iddio ci assista!