lunedì 30 marzo 2015

una lezione dal 1910

Nel gennaio scorso, riordinando le carte del mio studio, ho trovato un documento che non ricordavo di avere acquisito.
Si trattava dell’interpellanza, datata 24 marzo 1910, di un consigliere comunale riguardante due documenti dell’Archivio Storico di Spilamberto donati all’Archivio di Stato di Modena.

Con non poca fatica ho accertato che questa interpellanza, che riproduco, era stata da me fotografata il 9 maggio 2014 ma, poichè ero impegnato in altre cose, me ne ero completamente dimenticato.


La cosa mi incuriosì, e feci delle ricerche il cui esito spiegai su questo blog in data 18 febbraio 2015.
La cosa interessò anche “NASCO a Spilamberto”, e ulteriori ricerche hanno consentito alla citata Associazione, della quale faccio parte, di pubblicare il pieghevole che riproduco interamente.
Si tratta di un’importante pubblicazione che, al di là di un innegabile valore storico, mette a confronto due modi opposti di considerare l’Archivio Storico di Spilamberto.
Il fatto che le due vicende riportate siano distanti fra loro di 104 anni è irrilevante, ma se dovesse avere una qualche rilevanza sarebbe di segno opposto a quella che i fatti ci hanno consegnato.
Infatti, nel 1910 c’erano problemi più importanti e, soprattutto, più urgenti da soddisfare, come la fame che colpiva molte famiglie, ed è comprensibile che, in contesti simili, la cultura occupi un ruolo di secondo piano.
Viceversa, in un contesto come quello odierno, con il generale soddisfacimento dei bisogni primari, è logico pensare che la cultura possa e debba occupare un posto di maggior rilievo.
E invece questa vicenda dimostra il contrario.





venerdì 20 marzo 2015

occasioni perdute

Il sindaco di Spilamberto ha impostato la propria corsa alla carica di primo cittadino sulla rottura con il passato.
Non a caso, due degli slogan che ha maggiormente utilizzato sono stati: “E’ tempo di osare” e “Cambiamo il futuro”.

Il primo faceva pensare a una rottura con i vecchi schemi del politicamente corretto, obiettivo ambizioso che, in Emilia-Romagna, ha un tasso di difficoltà elevatissimo.
Ma la determinazione di questo giovane che, sempre e comunque ridendo, salutava, discorreva, prometteva, blandiva, rassicurava, ha fatto breccia nella maggioranza dei concittadini.
Il destino ha voluto che, proprio all’inizio del suo mandato, egli abbia avuto un’occasione unica per dimostrare ai cittadini che amministrava per conto loro e non per compiacere poteri estranei alla nostra Comunità: la vicenda dell’Archivio Storico Comunale.
La situazione era ideale.
Da un lato vi era la mutilazione della nostra memoria storica, con il trasferimento del nostro Archivio a Vignola.
Si trattava di un’operazione preparata prima della sua elezione a sindaco e, come dichiarò lui stesso, priva di qualsiasi atto ufficiale che lo costringesse a onorare impegni presi dal suo predecessore.
Perfezionare ugualmente un’operazione simile significava tenere in maggiore considerazione le telefonate dei potenti che non la sensibilità dei cittadini.
Dall’altro lato vi era la possibilità di dire chiaro e forte che chi è stato eletto dai cittadini deve rendere conto prima di tutto a loro del proprio operato e poi, ammesso che sia possibile, accogliere anche altre istanze che però non siano in contrasto con l’interesse dei propri amministrati.
Sappiamo quale strada ha scelto il sindaco.

Vi era poi un’altra questione sulla quale egli aveva battuto molto prima dell’elezione: il deposito dei rifiuti da parte dei cittadini, le cui modalità avevano innervosito anche i più tenaci sostenitori dell’amministrazione, soprattutto dopo l’introduzione delle cosiddette “calotte intelligenti”.
In numerose occasioni il sindaco, allora consigliere comunale, aveva criticato l’uso della tessera magnetica.
La critica era stata ribadita durante la campagna per le primarie PD nonché nella campagna elettorale che poi lo avrebbe visto vincitore.
Ma, ormai, siamo a fine marzo e la tessera è ancora necessaria, mentre le calotte intelligenti sono sì state tolte, ma dalla precedente amministrazione.
Sembra che vada tutto bene così, mentre il fervore manifestato dal sindaco prima delle elezioni sembra essere svanito.


Entrambe le vicende citate costituiscono, per il sindaco, due buone occasioni perdute e, come insegna l’esperienza, raramente le buone occasioni si ripresentano.

venerdì 13 marzo 2015

lotta continua

Ieri l’altro la Cassazione ha messo la parola fine al processo che, nel febbraio 2011, vedeva Berlusconi rinviato a giudizio, con rito immediato, per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile.
Nel giugno 2013, a conclusione del processo di 1° grado, l’imputato venne condannato a 7 anni di galera.
Il Giudice, evidentemente, riteneva che i 6 anni chiesti dal PM fossero pochi, e già questo fatto lascia trapelare la necessità della separazione delle carriere nella magistratura per onorare il principio della terzietà del Giudice giudicante: se questi sposa la tesi dell’accusa tanto da superarla non fa altro che creare dubbi sull’equilibrio della Giustizia.
Nel luglio del 2014 il processo di Appello si concluse con l’assoluzione di Berlusconi con formula piena da entrambi i capi d’accusa.
Ovviamente, nessuno paga né per gli errori commessi né per i milioni di pagine prodotti inutilmente né per l’attività di personale dello Stato distolto da altre attività trascurate come, per esempio, mettere in galera i delinquenti.
Ieri l’altro, finalmente, la conclusione di questa vicenda giudiziaria che, in realtà, è tutt’altro che conclusa: rimane in piedi il cosiddetto “Ruby ter” che vede imputati, per falsa testimonianza, tutti i testimoni del processo appena concluso: 44 persone fra le quali gli avvocati della difesa, funzionari di polizia ecc., tutti bugiardi, secondo lo stravagante teorema della Boccassini.
Si tratta di una cosa senza precedenti, in uno Stato di diritto.
Tornando al 2011, mentre la Boccassini costruiva il processo appena conclusosi, avveniva che l’economia italiana andasse sempre peggio, tanto da venire declassata dall’agenzia di rating S&P, e allora il presidente Napolitano si attivò per vedere di fare sloggiare il capo del Governo che, per la cronaca, era stato eletto dagli italiani e non era stato sfiduciato dal parlamento.
Oggi la Procura di Trani sta indagando perché vi sono fondati motivi per ritenere che il declassamento dell’Italia, da parte di S&P, sia avvenuto “illegittimamente e dolosamente”. Inoltre, a seguito di questo declassamento, il Governo Monti versò a Morgan Stanley, azionista di S&P, 2,5 miliardi di euro, e anche su questo indaga la Procura di Trani.
Così, con un colpo al cerchio giudiziario e uno alla botte dell’economia, Berlusconi venne fatto sloggiare da Palazzo Chigi, poi venne varata la cosiddetta “Legge Severino”, per la quale non poteva stare in parlamento chi avesse subito una condanna definitiva superiore a due anni.
Nel frattempo Berlusconi veniva condannato a 4 anni per evasione fiscale di Mediaset, mentre al legale rappresentante dell’impresa che aveva evaso, Confalonieri, non venne inviato nemmeno un avviso di garanzia.
Finalmente si chiudeva il cerchio: Berlusconi doveva sloggiare anche dal parlamento e non svolgere attività politica, e così fu, anche se la legge Severino aveva ed ha lacune gravi.
Infatti stabilisce chi può sedere in parlamento, compito che l’art. 66 della Costituzione assegna al parlamento stesso:
“Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Inoltre i fatti che incriminavano Berlusconi erano avvenuti prima del varo della legge Severino.
E vi è un altro fatto curioso: la legge Severino fu approvata anche dalla forza politica che faceva capo a Berlusconi il quale, evidentemente, non aveva ancora capito con chi aveva a che fare.
Adesso, teoricamente, egli potrebbe tornare a svolgere attività politica, ma è una situazione con poche prospettive.
Infatti, dai milioni di intercettazioni acquisite dalle procure, cominciano già ad uscire sui giornali delle pillole di fango che preparano il terreno a nuove iniziative, che presto conosceremo.

Certo, un paese che mette fuori legge il leader di un’importante forza politica, un paese che invece di indignarsi per essere stato screditato dolosamente con grave danno economico e di immagine, si indigna per le intercettazioni penalmente irrilevanti che gli vengono propinate a puntate dai giornaloni, è un paese impossibile da governare.

lunedì 2 marzo 2015

il nuovo tribuno

Dopo la performance di circa due mesi fa, con la quale Landini dava del disonesto a chi riservava il proprio consenso a Renzi, si poteva anche pensare, ragionevolmente, che la sua immagine pubblica potesse appannarsi.
Infatti, offendere milioni di persone è un esercizio che può costare caro, come sanno tanti uomini che, per un’intemperanza verbale, hanno visto chiudersi la loro carriera.
Nel caso di Landini le cose sono andate in modo assai diverso: non solo la sua immagine non si è appannata, ma da quel momento ha visto moltiplicarsi il suo “appeal” da parte dei mass-media.
Lo chiamano ovunque, i talk-show se lo contendono, tanto che il segretario della commissione di vigilanza RAI, pressato dalle altre sigle sindacali che vengono invitate raramente, ha predisposto un’interrogazione parlamentare per conoscere le motivazioni di questo squilibrio di presenze in RAI che, a volte, raggiunge proporzioni enormi: 10 a 1 rispetto agli altri sindacati.
Questo attivismo di Landini sembra preludere alla discesa nell’agone politico, anche se la sua visione delle cose, negli ultimi mesi, non è parsa proprio limpida.
Infatti, recentemente ha ingaggiato un braccio di ferro con la FCA (un tempo si chiamava FIAT) che ha intenzione di assumere personale e, volendo rilanciare la produzione, chiede il ricorso a forme di lavoro straordinario, compreso qualche sabato lavorativo.
Ma Landini si comporta come ai vecchi tempi, ed è troppo impegnato in televisione per capire l’aria che tira.
In un momento di crisi, che fa temere di cadere in una situazione di vera e propria recessione economica, la parola “straordinari” dovrebbe suonare melodiosa alle orecchie di un sindacalista, e infatti molti sono contenti delle prospettive e, se c’è da fare straordinari, ben vengano.   
Molti ma non tutti: la FIOM, di cui Landini è il capo, ha indetto uno sciopero contro il lavoro straordinario che ha avuto luogo alcune settimane fa.
Ebbene, a Melfi hanno scioperato in 14 su 1719, mentre a Pomigliano hanno scioperato in 5 su 1478.
Che dire?
Che Landini possa avere ambizioni politiche è lecito, ma che nutra queste ambizioni usando la FIOM, e insistendo su posizioni tanto stravaganti da venire smentite da coloro che dovrebbero seguirlo fino alla vittoria finale, è una cosa che stupisce.
Ovviamente non sarebbe il primo sindacalista CGIL che fa politica: tanti altri prima di lui l’hanno fatto, ma non senza il consenso del partito di riferimento.
Non a caso la CGIL era storicamente considerata la cinghia di trasmissione del PCI, e quando un leader CGIL ha tentato di affrancarsi da questa tutela ha sempre dovuto fare retromarcia, come accadde perfino a Giuseppe Di Vittorio.  
Quello che è cambiato, rispetto ad allora, è che l’attuale situazione occupazionale si sta facendo drammatica, e quando una persona intravede lo spettro della povertà dietro l’angolo, non c’è nessuno che possa coinvolgerla in progetti politici, in rivoluzioni catartiche o in guerre di logoramento.
E allora, se viene mollato dagli operai, quali prospettive può avere Landini per lanciarsi nel firmamento della politica?
Le notizie degli ultimi giorni non sono incoraggianti, perché sia la CGIL che il partito del suo grande rivale Renzi, criticano le sue ambizioni.
Renzi ha fatto una battuta molto pungente sul suo eventuale passaggio dal sindacalismo alla politica: “Non è Landini che lascia il sindacato ma il sindacato che ha lasciato Landini”.
E’ una battuta non del tutto campata in aria, perchè Landini sta giocando una difficile battaglia che potrebbe costargli, come si usa dire, capre e cavoli.

Vedremo come andrà a finire, tuttavia, anche in caso di successo dell'iniziativa, non saranno sicuramente le ricette di questo novello tribuno a guarire l’Italia.