lunedì 30 dicembre 2013

l'evoluzione del linguaggio


Il linguaggio, si sa, è in continuo movimento: ogni anno si arricchisce di centinaia di vocaboli, mentre altre centinaia muoiono e altre migliaia, invece, continuano a esistere con fortune alterne, alcuni sempre in auge, altri poco usati e altri ancora vicini all’estinzione.
La vita dei vocaboli, in questo, somiglia alla vita delle persone nelle varie società: vi è chi nasce, chi muore, chi entra spavaldamente nell’agone della vita e chi, deluso, se ne ritira; vi è chi, ritenendosi ormai spacciato, rinasce grazie a un caso fortuito e chi, pur sentendosi invincibile, non si accorge di essere vicino alla fine.
Dei vocaboli che languono o che muoiono non si sa chi sia l’artefice delle loro disgrazie: semplicemente, non essendo più usati, prima continuano a esistere nei vocabolari con l’aggiunta “arcaico”, che sarebbe come dire che gli è stata somministrata l’estrema unzione in attesa della dipartita.
Diverso è il discorso per i vocaboli neonati e per quelli che, dopo momenti difficili, hanno ritrovato lo smalto dei giorni migliori: ciò avviene per una serie di circostante che possono essere le più variegate, come l’utilizzo in cronaca giornalistica, in letteratura, su facebook, su twitter e, soprattutto, in TV.
La televisione, in particolare, costituisce un veicolo di straordinaria rapidità nella nascita e rinascita di parole per la lingua italiana.
Prima del suo avvento una parola, per arrivare all’onore del vocabolario, aveva anni, e a volte decenni, di gavetta da fare nei cortili, nei bar, nei congressi, sulla carta stampata, sui libri, mentre oggi sono sufficienti pochi, o anche pochissimi, passaggi in televisione per entrare nel vocabolario o per rinascere.
Questo fenomeno avviene, talvolta, non proprio ad opera di accademici della Crusca, senza che ciò gli impedisca di incidere sul nostro linguaggio.
Facciamo alcuni esempi.

 
Inciucio
Questa parola non aveva l’onore del vocabolario, infatti il Devoto-Oli del 1971 non lo riportava.
Lo riporta invece il Sabatini-Colletti del 1997, dicendo che è un termine derivante dal dialetto siciliano.
Ma come mai è entrato nel vocabolario? Vi è entrato per un fatto semplicissimo.
Massimo d’Alema, in un’intervista televisiva, usò la parola inciucio per intendere imbroglio e, quel giorno, nacque la fortuna del vocabolo.

Discontinuità
Questa parola aveva da centinaia d’anni l’onore del vocabolario, ma non era molto usata e, quando accadeva, lo era in senso negativo, nel senso di irregolarità, interruzione, scarsa omogeneità, assenza di sicurezza.
Fino al giorno in cui venne pronunciata, anch’essa in un’intervista televisiva, da tale Giuseppe Follini, detto Marco, il quale disse che il governo (di cui faceva parte) doveva dare un segnale di discontinuità per funzionare bene.
Da quel giorno rinacque la fortuna del vocabolo che, nell’occasione, perdette anche la sua connotazione negativa perché usato, quasi sempre, nel senso di critica a un governo che era guidato da Berlusconi.

Che c’azzecca
Il verbo azzeccare, ovvero colpire, centrare, è sul vocabolario da secoli, ma il suo uso è stato rinverdito, anche in questo caso per merito della televisione, grazie alle riprese di spezzoni di processi condotti da un PM che diventerà famoso: Antonio di Pietro.
In questi processi egli usava spesso il modo di dire del suo paese “che ci azzecca?”, che sta, credo, per “cosa c’entra?” ma potrebbe anche voler dire “colpisco nel segno se dico che?”.
Dopo i processi, quel modo di dire imperversò, e i giornalisti riuscirono in un duplice risultato: introdurre nell’uso comune un’espressione dialettale e scriverla in modo errato. Infatti, da allora, si legge l’espressione “che c’azzecca” che, secondo la nostra grammatica, si pronuncia non “che ciazzecca”, ma “che cazzecca”.

Questi sono solo alcuni esempi che mostrano come i nostri vocabolari siano soggetti a mutamenti che chiunque può introdurre: è perciò lecito sognare di potere dare a una parola o a un’espressione, usate da noi o da una persona cara, il blasone del vocabolario: c'è riuscito perfino Di Pietro!

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