mercoledì 30 ottobre 2013

via rasella e fosse ardeatine


Vorrei fare, a bocce ferme, alcune considerazioni sulla vicenda Priebke.
Alle ore 15.00 del 23 marzo 1944 a Roma, in via Rasella, scoppiò un cassonetto mentre passava un battaglione di soldati tedeschi, e ne morirono 33.
La bomba di via Rasella provocò anche la morte di 3 civili italiani, fra i quali un ragazzino di 13 anni.
Chi decise l’attentato sapeva che quella bomba sarebbe costata la vita a centinaia di civili, perché i codici di guerra, non solo tedeschi, prevedevano che per ogni soldato ucciso in attentati venissero uccisi dieci civili.
Pertanto la strage era certa, e venne eseguita il giorno successivo alle fosse ardeatine: 335 morti, non 330, probabilmente per errore.
Ma Priebke chi era? Era un capitano delle SS che venne incaricato dal comando tedesco di occuparsi, insieme ad altri ufficiali e sottufficiali, dello sterminio di 330 persone, e pare che proprio a lui venisse affidato il macabro conteggio.
Tuttavia la decisione di uccidere quelle persone non fu sua: egli eseguì degli ordini, disumani finchè si vuole, ma ordini. “Ma poteva rifiutarsi”, si sentiva dire nelle settimane scorse.
Certo che poteva rifiutarsi, però sarebbe stato subito ucciso per insubordinazione: con l’infernale disciplina dell’esercito tedesco non si scherzava. Priebke, evidentemente, non era un eroe e ha eseguito gli ordini.
Non pare tuttavia essere stato un eroe nemmeno colui che mise la bomba in via Rasella.
Infatti gli eroi sono persone che, per un ideale o in uno stato di necessità, mettono a disposizione
la propria vita, mentre chi mise la bomba in via Rasella ha rischiato sì la propria vita, ma sapendo che quel gesto avrebbe provocato un lago di sangue di ignoti e ignari cittadini italiani.
Occorre anche dire che, sul piano militare, l’attentato di via Rasella è stato irrilevante: l’esercito alleato era alle porte di Roma, dove sarebbe entrato il 6 giugno.
Ora, è giusto ritenere Piebke responsabile dell’eccidio pur essendo un mero esecutore d’ordini?
Il Tribunale Militare di Roma, nel 1948, ritenne Kappler unico responsabile dell’eccidio e lo condannò all’ergasolo, ma assolse gli altri militari che avevano partecipato alla carneficina in quanto semplici esecutori di ordini.
Si trattava di:
Domizlaff Borante Maggiore delle SS
Clemens Hans Capitano delle SS
Quapp Joannes Maresciallo Capo delle SS
Schutze Kurt Maresciallo ordinario delle SS
Wiedner Karl Sergente maggiore delle SS

e il Tribunale Militare di Roma, “Visti gli artt. 479 c.p.p. e 40 c.p.m.pace” assolse “Domizlaff Borante, Clemens Hans, Quapp Johannes, Schutze Kurt e Wiedner Karl dal reato di omicidio continuato indicato nel primo capo d'imputazione in quanto agirono per ordine di un superiore.
Roma, li venti luglio millenovecentoquarantotto.”

Priebke non era imputato in quel processo perché emigrato in Argentina: venne rintracciato nel 1994, estradato, processato e condannato all’ergastolo.
E’ lecito pensare che, se fosse stato presente al suddetto processo, sarebbe stato assolto come gli altri.
E allora perché tanto odio tardivo, tale da non consentire nemmeno la sepoltura di un vecchio di cent’anni  dopo che sono trascorsi 69 anni dal giorno di quella tragedia?
Si direbbe che l'Italia sia ancora affetta dalla sindrome di Piazzale Loreto, un episodio indecoroso che dovremmo già avere superato.
Infine, l’atteggiamento della Chiesa ha creato qualche perplessità, perché essa ci ha sempre insegnato che vi è un giudice supremo per i peccatori, per tutti i peccatori.

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