Nel secolo scorso abbiamo avuto due “religioni” che hanno accompagnato la convivenza civile del popolo italiano.
Da un lato, una religione vera,
con 2000 anni di Storia alle spalle la quale tuttavia, nel ‘900, ha avuto anche
un ruolo secolare importantissimo.
Parlo del Cattolicesimo e del
partito che un prete, Don Luigi Sturzo, fondò nel 1919 col nome di Partito
Popolare Italiano (PPI), che nell’ultimo dopoguerra prese il nome di Democrazia
Cristiana (DC) e si rafforzò fino a governare la società italiana.
Questo partito costituì anche un
baluardo contro un’altra “religione” laica, atea e materialista, fondata
anch’essa alla vigilia dell’avvento del fascismo, che clandestinamente si era
preparata a guidare la società italiana: il Partito Comunista d’Italia, prima
PDCI e poi PCI.
Sappiamo che questo disegno non
riuscì e che il comunismo subì, storicamente, un crollo che però non impedì a
PCI ed eredi di restare sempre ai vertici della nostra politica e di governare
per parecchi anni, anche se in più di un’occasione con premier scelti fuori dal
loro partito come, ad esempio, Prodi.
Cosa avevano in comune queste due
“religioni”?
In estrema sintesi, per il
cattolicesimo ogni vita umana è preziosa, e la dignità di ogni individuo va
sempre rispettata.
Tuttavia la precarietà della
condizione umana è sempre presente, l’uomo è polvere, e la sua dimensione
spirituale prevale sul suo ruolo secolare, che comunque egli potrà scegliere in
quanto munito di libero arbitrio.
Infine, la ricchezza è vista come
una macchia, che rende più difficile la salvezza dell’anima.
Per il comunismo, viceversa,
l’uomo conta solo in quanto parte di organismi collettivi che impediscano a
qualcuno di assumere la supremazia sugli altri.
In questo contesto un diritto
individuale vale pochissimo.
In sostanza l’individuo, da solo,
è una nullità, e se non si adegua verrà debitamente punito, perché la
coercizione è parte fondante di questa ideologia.
Per il comunismo la ricchezza è
considerata solo se riferita allo Stato, perché a livello individuale non deve
esistere.
Quello del disprezzo della
ricchezza è, probabilmente, l’unica cosa in comune.
Perché questa premessa?
Perché queste due “religioni” si
sono incontrate, si sono parlate, e hanno generato quel bislacco fenomeno
chiamato “Cattocomunismo”.
Dopo che la Chiesa cattolica ha
ritenuto per molti anni di dovere combattere contro il materialismo e il
relativismo della dottrina comunista, una grossa fetta di cattolici hanno
ritenuto di avere molti punti in comune e, in questo preciso momento, mese di ottobre dell’anno di grazia 2013,
stanno lavorando per imboccare una strada che potrebbe portarli a governare per
molto tempo.
Cosa otterranno gli italiani, se
questa eventualità si concretizzerà?
Nulla di buono.
Infatti per i cattocomunisti
l’uomo sa che deve soffrire e guardare sempre alla salvezza dell’anima, e cose
insignificanti come le tasse non vanno neanche prese troppo sul serio: il
cittadino deve pagare di più e pagherà e pensi a cose più importanti.
Per gli ex-post-filo comunisti,
anche se il capolinea ideologico di partenza è molto diverso, la visione è la
stessa.
Ma che cosa ha un semplice
cittadino da strillare? Lui deve pagare quello che stabiliamo e basta. Questi
piccolo-borghesi credono di avere solo diritti!
In sostanza questo connubio
porterebbe ad un aumento costante delle tasse che, in sé e per sé, vuol dire
poco.
Vuol dire molto invece l’effetto
che produrrebbe: depressione, chiusura di imprese, aumento della
disoccupazione, avvento della recessione, povertà insinuante in strati sempre
maggiori di popolazione, tensione sociale alle stelle.
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