venerdì 18 ottobre 2013

cattocomunismo


Nel secolo scorso abbiamo avuto due “religioni” che hanno accompagnato la convivenza civile del popolo italiano.
Da un lato, una religione vera, con 2000 anni di Storia alle spalle la quale tuttavia, nel ‘900, ha avuto anche un ruolo secolare importantissimo.
Parlo del Cattolicesimo e del partito che un prete, Don Luigi Sturzo, fondò nel 1919 col nome di Partito Popolare Italiano (PPI), che nell’ultimo dopoguerra prese il nome di Democrazia Cristiana (DC) e si rafforzò fino a governare la società italiana.
Questo partito costituì anche un baluardo contro un’altra “religione” laica, atea e materialista, fondata anch’essa alla vigilia dell’avvento del fascismo, che clandestinamente si era preparata a guidare la società italiana: il Partito Comunista d’Italia, prima PDCI e poi PCI.
Sappiamo che questo disegno non riuscì e che il comunismo subì, storicamente, un crollo che però non impedì a PCI ed eredi di restare sempre ai vertici della nostra politica e di governare per parecchi anni, anche se in più di un’occasione con premier scelti fuori dal loro partito come, ad esempio, Prodi.
Cosa avevano in comune queste due “religioni”?
In estrema sintesi, per il cattolicesimo ogni vita umana è preziosa, e la dignità di ogni individuo va sempre rispettata.
Tuttavia la precarietà della condizione umana è sempre presente, l’uomo è polvere, e la sua dimensione spirituale prevale sul suo ruolo secolare, che comunque egli potrà scegliere in quanto munito di libero arbitrio.
Infine, la ricchezza è vista come una macchia, che rende più difficile la salvezza dell’anima.
Per il comunismo, viceversa, l’uomo conta solo in quanto parte di organismi collettivi che impediscano a qualcuno di assumere la supremazia sugli altri.
In questo contesto un diritto individuale vale pochissimo.
In sostanza l’individuo, da solo, è una nullità, e se non si adegua verrà debitamente punito, perché la coercizione è parte fondante di questa ideologia.
Per il comunismo la ricchezza è considerata solo se riferita allo Stato, perché a livello individuale non deve esistere.
Quello del disprezzo della ricchezza è, probabilmente, l’unica cosa in comune.
Perché questa premessa?
Perché queste due “religioni” si sono incontrate, si sono parlate, e hanno generato quel bislacco fenomeno chiamato “Cattocomunismo”.
Dopo che la Chiesa cattolica ha ritenuto per molti anni di dovere combattere contro il materialismo e il relativismo della dottrina comunista, una grossa fetta di cattolici hanno ritenuto di avere molti punti in comune e, in questo preciso momento, mese di ottobre dell’anno di grazia 2013, stanno lavorando per imboccare una strada che potrebbe portarli a governare per molto tempo.
Cosa otterranno gli italiani, se questa eventualità si concretizzerà?
Nulla di buono.
Infatti per i cattocomunisti l’uomo sa che deve soffrire e guardare sempre alla salvezza dell’anima, e cose insignificanti come le tasse non vanno neanche prese troppo sul serio: il cittadino deve pagare di più e pagherà e pensi a cose più importanti.
Per gli ex-post-filo comunisti, anche se il capolinea ideologico di partenza è molto diverso, la visione è la stessa.
Ma che cosa ha un semplice cittadino da strillare? Lui deve pagare quello che stabiliamo e basta. Questi piccolo-borghesi credono di avere solo diritti!
In sostanza questo connubio porterebbe ad un aumento costante delle tasse che, in sé e per sé, vuol dire poco.
Vuol dire molto invece l’effetto che produrrebbe: depressione, chiusura di imprese, aumento della disoccupazione, avvento della recessione, povertà insinuante in strati sempre maggiori di popolazione, tensione sociale alle stelle.

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