Vorrei fare, a bocce ferme,
alcune considerazioni sulla vicenda Priebke.
Alle ore 15.00 del 23 marzo 1944
a Roma, in via Rasella, scoppiò un cassonetto mentre passava un battaglione di
soldati tedeschi, e ne morirono 33.
La bomba di via Rasella provocò
anche la morte di 3 civili italiani, fra i quali un ragazzino di 13 anni.
Chi decise l’attentato sapeva che
quella bomba sarebbe costata la vita a centinaia di civili, perché i codici di
guerra, non solo tedeschi, prevedevano che per ogni soldato ucciso in attentati
venissero uccisi dieci civili.
Pertanto la strage era certa, e
venne eseguita il giorno successivo alle fosse ardeatine: 335 morti, non 330,
probabilmente per errore.
Ma Priebke chi era? Era un
capitano delle SS che venne incaricato dal comando tedesco di occuparsi,
insieme ad altri ufficiali e sottufficiali, dello sterminio di 330 persone, e
pare che proprio a lui venisse affidato il macabro conteggio.
Tuttavia la decisione di uccidere
quelle persone non fu sua: egli eseguì degli ordini, disumani finchè si vuole,
ma ordini. “Ma poteva rifiutarsi”, si sentiva dire nelle settimane scorse.
Certo che poteva rifiutarsi, però
sarebbe stato subito ucciso per insubordinazione: con l’infernale disciplina
dell’esercito tedesco non si scherzava. Priebke, evidentemente, non era un eroe
e ha eseguito gli ordini.
Non pare tuttavia essere stato un
eroe nemmeno colui che mise la bomba in via Rasella.
Infatti gli eroi sono persone
che, per un ideale o in uno stato di necessità, mettono a disposizione
la propria vita, mentre chi mise
la bomba in via Rasella ha rischiato sì la propria vita, ma sapendo che quel
gesto avrebbe provocato un lago di sangue di ignoti e ignari cittadini
italiani.
Occorre anche dire che, sul piano
militare, l’attentato di via Rasella è stato irrilevante: l’esercito alleato
era alle porte di Roma, dove sarebbe entrato il 6 giugno.
Ora, è giusto ritenere Piebke
responsabile dell’eccidio pur essendo un mero esecutore d’ordini?
Il Tribunale Militare di Roma,
nel 1948, ritenne Kappler unico responsabile dell’eccidio e lo condannò
all’ergasolo, ma assolse gli altri militari che avevano partecipato alla
carneficina in quanto semplici esecutori di ordini.
Si trattava di:
Domizlaff Borante Maggiore delle SS
Clemens Hans Capitano
delle SS
Quapp Joannes Maresciallo Capo delle SS
Schutze Kurt Maresciallo
ordinario delle SS
Wiedner Karl Sergente
maggiore delle SS
e il Tribunale Militare di
Roma, “Visti gli artt. 479 c.p.p. e 40 c.p.m.pace” assolse “Domizlaff
Borante, Clemens Hans, Quapp Johannes, Schutze Kurt e Wiedner Karl dal reato di
omicidio
continuato indicato nel primo capo d'imputazione in quanto agirono per ordine
di un superiore.
Roma, li venti luglio
millenovecentoquarantotto.”
Priebke non era imputato in quel
processo perché emigrato in Argentina: venne rintracciato nel 1994, estradato,
processato e condannato all’ergastolo.
E’ lecito pensare che, se fosse
stato presente al suddetto processo, sarebbe stato assolto come gli altri.
E allora perché tanto odio
tardivo, tale da non consentire nemmeno la sepoltura di un vecchio di
cent’anni dopo che sono trascorsi
69 anni dal giorno di quella tragedia?
Si direbbe che l'Italia sia ancora affetta dalla sindrome di Piazzale Loreto, un episodio indecoroso che dovremmo già avere superato.
Infine, l’atteggiamento della
Chiesa ha creato qualche perplessità, perché essa ci ha sempre insegnato che vi
è un giudice supremo per i peccatori, per tutti i peccatori.