sabato 26 luglio 2014

bunga bunga


Venerdì 18 luglio scorso la Corte d’Appello di Milano ha emesso una sentenza storica.
Nel processo che vedeva Silvio Berlusconi condannato in primo grado a 7 anni di galera per concussione e sfruttamento della prostituzione, lo ha assolto dalla prima accusa perché il fatto non sussiste, e dalla seconda perché il fatto non costituisce reato.
In soldoni, l’imputato non ha concusso nessuno, non ha né minacciato né costretto nessuno a fare alcunchè, mentre per l’altra accusa la sentenza ammette comportamenti censurabili sul piano morale ma non contrari alla legge.
Ma perché tanto stupore?
Si capiva a naso che c’erano cose che non quadravano fin dall’inizio.
Vi era una parte lesa che non si sentiva lesa, che chiedeva invano di essere ascoltata dal giudice e, per farsi sentire, improvvisò una conferenza stampa davanti al tribunale di Milano.
Lei non sapeva di essere vittima, ma i giudici sì che lo sapevano: per questo avevano eretto una bellissima impalcatura giudiziaria e vi si erano asserragliati, respingendo tutto ciò che poteva farla traballare.
Questa impressione si è rafforzata quando, accanto al verdetto di primo grado che condannava l’imputato a 7 anni di galera, è stato predisposto il rinvio a giudizio di tutti i 42 testi più i 2 avvocati della difesa: una cosa senza precedenti.
Pensare che tutti i testimoni dicano il falso lascia perplessi, ma che anche gli avvocati della difesa vengano rinviati a giudizio come comuni delinquenti, è una cosa che fa pensare di non vivere in uno stato di diritto.
Comunque le cose stavano così fino alla deflagrazione della sentenza di 2° grado.
E allora si spiega lo stupore: ormai si pensava che fosse impossibile ristabilire un equilibrio di giudizio in processi come questo, la cui sentenza era stata anticipata da anni di dileggio mediatico al grido di: bunga bunga.
E invece la magistratura esce da questa sentenza con una rinnovata credibilità che era andata perdendosi negli ultimi anni.
Ora, in attesa di leggere le motivazioni della suddetta sentenza, viene da chiedersi cosa ne sarà dei 44 imputati di falsa testimonianza: tenteranno ancora di metterli in galera o si arrenderanno?
In questa vicenda, come in altre, è triste constatare come la separazione dei poteri, che è un cardine dello Stato di diritto, non funzioni.
Occorre anche dire che la classe politica ha favorito questo processo.
Nel 1993 venne varata una legge che modificò, fino a svuotarlo, l’istituto dell’immunità parlamentare, che impediva l’arresto di un parlamentare senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.
Ciò consentì alla Magistratura di stabilire la sorte delle varie forze politiche esistenti allora: di alcune di esse decretarono la morte, mentre per altre il verdetto fu vita.
Oggi, con la legge Severino, il Parlamento può espellere automaticamente chi abbia riportato una condanna definitiva superiore a 2 anni.
Ciò consente al potere giudiziario di stabilire anche chi è eleggibile e chi no, in barba all’art. 66 della Costituzione che recita:
Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Ora, sul fatto che la riforma della giustizia sia improrogabile sono d’accordo tutti, perfino il Presidente della Repubblica, ma quando si intende passare dagli intenti ai fatti, nessuno riesce a far nulla, come ha capito subito Renzi che pontifica su tutto tranne la riforma della Giustizia.
A me piace pensare che la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 18 luglio scorso possa segnare un’inversione di tendenza, perché questa Italia ha bisogno di istituzioni che funzionino e non di fazioni che tengano gli italiani immersi in un eterno clima da guerra civile.



Nella foto in alto Ruby durante la conferenza stampa all’aperto tenuta davanti al Tribunale di Milano

Nella foto in basso Ilda Boccassini, detta Ilda la rossa.
La sua impalcatura giudiziaria, costruita sul caso Ruby, sta vacillando vistosamente.

2 commenti:

  1. Sulla giustizia tutto vacilia in Italia, come dice una canzone ".....Italia, il paese delle mezze verità..."

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  2. Caro Gigi ti devo una bevuta per il piacere ricevuto

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