Pochi giorni, fa
un giudice milanese è salito agli onori della cronaca per avere depositato le
motivazioni della sentenza di un processo d’appello, riguardante Silvio
Berlusconi, a tempo di record.
Si tratta di
una condanna per frode fiscale, ma il rischio della prescrizione ha messo le
ali a un corpo dello stato tradizionalmente piuttosto lento.
Purtroppo, lo
stesso giudice non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza di un
processo d’appello nel quale, il 12 luglio 2012, l’imputato è stato condannato
a 7 anni per avere stuprato 4 donne.
Ovviamente
l’imputato è ancora libero e il terzo livello di giudizio, quello della
Cassazione, potrà avvenire solo dopo il deposito delle motivazioni della
sentenza d’appello.
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Si è conclusa
anche un’altra strana vicenda che, qualche anno fa, ha avuto gli onori della
cronaca.
Si trattava di un
manipolo di pericolosi delinquenti che erano usciti dal carcere perché la
motivazione della loro sentenza non era stata ancora pubblicata. Cosa c’è di
strano?
C’è che, dal giorno
della sentenza, erano passati quasi 8 (otto) anni.
Perché ne parlo?
Perché la Corte dei
Conti ha chiuso questa vicenda condannando il giudice in questione, che è
comunque stato radiato dalla magistratura, a 10.000 euro di multa e usando
parole piene di indulgenza nei riguardi di questo giudice, allora giovanissimo,
colpevole sì, ma anche vittima del cattivo funzionamento della macchina della
giustizia.
Ora, l’ignaro e
ignoto cittadino si domanda: se un corpo dello Stato così importante, che ha il
potere di incidere sulla vita delle persone e, a volte, sul futuro della nostra
vita politica, non è in grado di evitare errori simili, non è il caso di
rimetterlo in discussione e di riformarlo?
Forse sì ma, secondo
l’associazione nazionale magistrati, non si può separare la magistratura
inquirente da quella giudicante, non si può pretendere che un giudice che
sbaglia ne risponda, non si può parlare di marcatura del cartellino.
Chiunque ne parla
viene tacciato di gettare discredito sulla magistratura.
A proposito di
discredito, mi viene in mente un episodio avvenuto più di vent’anni fa al
circolo Meridiana di Casinalbo.
Era ospite Indro
Montanelli, allora direttore di “Il Giornale nuovo”, insieme al collega Mario
Cervi.
A un certo punto
Montanelli, piuttosto critico nei riguardi della magistratura, venne accusato
dal presidente del tribunale di Modena, seduto fra il pubblico, di gettare
discredito sulla magistratura. Montanelli non si scompose, e raccontò il
seguente episodio.
Un giudice italiano venne
sorpreso in una pubblica toilette mentre compiva atti innominabili su un
bambino. Venne denunciato e, dopo l’inchiesta che confermò i fatti, il CSM gli
inflisse una pena esemplare: lo spostò in una sede distante meno di cento
kilometri.
In questo modo
avrebbe potuto continuare a fare cose orribili, ma da un’altra parte.
Montanelli chiuse la
querelle con le seguenti parole:
“Egregio signore, con comportamenti simili, la magistratura riesce
brillantemente a screditarsi da sola”.
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