lunedì 30 giugno 2014

caselli - il crollo di un mito


Tutti gli italiani conoscono il giudice Caselli perché ha ricoperto incarichi prestigiosi: Procuratore Capo a Torino e Palermo nonché Capo del Dipartimento Penitenziario.
E’ il giudice che, sulla base di una telefonata anonima ricevuta dal suo collega Violante, iniziò la causa contro Andreotti che durò 10 anni, mentre il numero esatto di pagine riempite nel corso del processo è ignoto, così come il gigantesco costo complessivo del processo stesso conclusosi, come noto, con l’assoluzione di Andreotti.
Ma quello che colpiva, in Caselli, era la sua totale dedizione ai grandi princìpi come l’onestà e, conseguentemente, la sua avversione per la corruzione dovuta, spesso, a cupidigia di denaro.
L’immagine che mi ero fatto di lui, nelle sue frequenti frequentazioni di TV e giornali, era di un uomo per cui valevano solo i princìpi, mentre il denaro, che alimentava la corruzione, ero certo che lo considerasse solo per quello che è: uno strumento che misura il valore dei beni.
Insomma, per me Caselli era un cavaliere senza macchia e senza paura, che spendeva la vita al servizio del BENE, e il suo ciuffo candido gli dava un aspetto ieratico che aumentava il suo carisma.
Questa premessa perché si possa capire il mio stupore quando ho saputo che Caselli si è rivolto al TAR per evitare che vengano ridotte le paghe dei giudici e, conseguentemente, anche la sua pensione, che passerà a 300 mila euro l’anno.
Caselli ammanta il suo ricorso con la difesa della dignità e indipendenza della magistratura, come se questi alti requisiti dipendessero dalla quantità di denaro erogata.
Ora, a parte il fatto che Caselli è in pensione, perciò la sua indipendenza non è minacciata, con quel ragionamento egli riconosce il primato del denaro che non è più solo un mezzo per stabilire il valore dei beni, ma un mezzo per stabilire la dignità e l’indipendenza di qualcuno.
In questo modo egli rivela ciò che nessuno avrebbe osato pensare, cioè di dare grande importanza al denaro.
Un’importanza enorme, dal momento che Caselli è l’unico magistrato ad avere intrapreso la via impervia del ricorso, perché lottare, coram populo, per evitare di essere costretto a vivere con solo 25 mila euro al mese, ritenendola un’ingiustizia, espone ad un rischio che forse è peggiore della disonestà: il ridicolo.
Crolla così, ingloriosamente, un mito del nostro tempo: Giancarlo Caselli.

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