Si fa un gran parlare, in questi giorni, di quote rosa, che consistono
nell’assegnare alle donne quote di rappresentanza, e quindi di potere, per
legge.
Occorre dire che l’emancipazione femminile italiana è assai recente, se
si pensa che fino al 1946 la donna non aveva diritto al voto nelle
consultazioni elettorali.
Anche da un punto di vista pratico, la donna aveva sempre un ruolo
subalterno, perché doveva badare alla casa, allevare i figli, e ubbidire al
marito che, quasi sempre, comandava.
Non parliamo poi degli stereotipi: non era concepibile che una donna
entrasse in un bar, che fumasse o che, vade
retro, guidasse un’automobile.
La donna, insomma, era considerata inferiore all’uomo e non solo
fisicamente, come sosteneva un gigante della nostra cultura come Giacomo
Leopardi.
Nel Canto “Aspasia” egli così parla riferendosi alla donna: “............ Non cape in quelle anguste fronti
ugual concetto ...................
Che se più molli e
più tenui le membra, essa la mente men capace e men forte anco riceve ........”
Ma si tratta di parole scritte in un Canto struggente per un amore non corrisposto, parole viziate dal
dolore,
e non si possono prendere sul serio, anche se scritte da un grande intelletto.
Inoltre, studi recenti hanno stabilito che il quoziente di
intelligenza femminile supera, spesso, quello maschile.
Tornando al secolo scorso, dal 1946 ad oggi è passata molta acqua sotto
i ponti, forse anche troppa. Le donne lottarono per molti anni per la perfetta
parità di diritti con gli uomini e l’ottennero, anche rinunciando a qualche
prassi vantaggiosa che teneva conto della loro diversità biologica, come i
turni di notte che erano, un tempo, riservati agli uomini.
In questo modo le donne si emanciparono pagando un prezzo salato
perché, oltre all’assoluta parità sul lavoro, dovevano continuare a curare la
casa e i figli.
Poi venne la rivoluzione sessuale che modificò non poco i ruoli storici
dei sessi: l’uomo è sempre meno cacciatore e la donna è sempre meno preda.
Sul piano professionale, oggi vi sono tante donne che, in tutti i
campi, si sono affermate perché intelligenti, capaci e determinate, ma non
perché donne.
E arriviamo all’oggi.
Assegnare alle donne una quota fissa di rappresentanti in parlamento
equivale a farne una sorta di specie protetta, che è quasi come ghettizzarla.
Infatti il potere sembra dire: “Io
ti do un ruolo non perché lo meriti, ma perché io sono buono e ho fatto una
legge per proteggerti”.
Se io fossi una donna mi arrabbierei, in base al seguente ragionamento:
“perché mi vuoi assegnare una
percentuale? Sei sicuro che tu, uomo, apparterrai sempre alla categoria
maggioritaria? Domani potresti essere tu dalla parte più debole, e io non ti
proteggerei affatto. Infatti io non voglio regali, voglio solo essere ai
blocchi di partenza sulla tua stessa linea, poi chi correrà più forte arriverà”.
E voglio chiudere con alcune parole tratte dall’articolo di una nota
antropologa, Ida Magli, apparso sul quotidiano “il Giornale” del 7 marzo
scorso, parole che condivido. Riferendosi agli uomini che vogliono introdurre
le quote, ella scrive:
«Diffidiamo:
sembrano voler dire “gestiamo noi le
donne, prima che i posti se li prendano da sé e ci superino”. No,
fermiamoli noi. Fermiamoli tutti, uomini e donne che vogliono imporre le quote,
che sono solo il miglior modo per continuare a pensare che le donne
siano inferiori. »
Le quote rosa mi ricordano una canzone italiana che fa "...parole...parole...parole..."
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