lunedì 10 marzo 2014

quote rosa


Si fa un gran parlare, in questi giorni, di quote rosa, che consistono nell’assegnare alle donne quote di rappresentanza, e quindi di potere, per legge.
Occorre dire che l’emancipazione femminile italiana è assai recente, se si pensa che fino al 1946 la donna non aveva diritto al voto nelle consultazioni elettorali.
Anche da un punto di vista pratico, la donna aveva sempre un ruolo subalterno, perché doveva badare alla casa, allevare i figli, e ubbidire al marito che, quasi sempre, comandava.
Non parliamo poi degli stereotipi: non era concepibile che una donna entrasse in un bar, che fumasse o che, vade retro, guidasse un’automobile.
La donna, insomma, era considerata inferiore all’uomo e non solo fisicamente, come sosteneva un gigante della nostra cultura come Giacomo Leopardi.
Nel Canto “Aspasia” egli così parla riferendosi alla donna: “............ Non cape in quelle anguste fronti ugual concetto  ................... Che se più molli e più tenui le membra, essa la mente men capace e men forte anco riceve ........”
Ma si tratta di parole scritte in un Canto struggente per un amore non corrisposto, parole viziate dal dolore, e non si possono prendere sul serio, anche se scritte da un grande intelletto.
Inoltre, studi recenti hanno stabilito che il quoziente di intelligenza femminile supera, spesso, quello maschile.
Tornando al secolo scorso, dal 1946 ad oggi è passata molta acqua sotto i ponti, forse anche troppa. Le donne lottarono per molti anni per la perfetta parità di diritti con gli uomini e l’ottennero, anche rinunciando a qualche prassi vantaggiosa che teneva conto della loro diversità biologica, come i turni di notte che erano, un tempo, riservati agli uomini.
In questo modo le donne si emanciparono pagando un prezzo salato perché, oltre all’assoluta parità sul lavoro, dovevano continuare a curare la casa e i figli.
Poi venne la rivoluzione sessuale che modificò non poco i ruoli storici dei sessi: l’uomo è sempre meno cacciatore e la donna è sempre meno preda.
Sul piano professionale, oggi vi sono tante donne che, in tutti i campi, si sono affermate perché intelligenti, capaci e determinate, ma non perché donne.
E arriviamo all’oggi.
Assegnare alle donne una quota fissa di rappresentanti in parlamento equivale a farne una sorta di specie protetta, che è quasi come ghettizzarla.
Infatti il potere sembra dire: “Io ti do un ruolo non perché lo meriti, ma perché io sono buono e ho fatto una legge per proteggerti”.
Se io fossi una donna mi arrabbierei, in base al seguente ragionamento: “perché mi vuoi assegnare una percentuale? Sei sicuro che tu, uomo, apparterrai sempre alla categoria maggioritaria? Domani potresti essere tu dalla parte più debole, e io non ti proteggerei affatto. Infatti io non voglio regali, voglio solo essere ai blocchi di partenza sulla tua stessa linea, poi chi correrà più forte arriverà”.
E voglio chiudere con alcune parole tratte dall’articolo di una nota antropologa, Ida Magli, apparso sul quotidiano “il Giornale” del 7 marzo scorso, parole che condivido. Riferendosi agli uomini che vogliono introdurre le quote, ella scrive:
«Diffidiamo: sembrano voler dire “gestiamo noi le donne, prima che i posti se li prendano da sé e ci superino”. No, fermiamoli noi. Fermiamoli tutti, uomini e donne che vogliono imporre le quote,
che sono solo il miglior modo per continuare a pensare che le donne siano inferiori. »

1 commento:

  1. Le quote rosa mi ricordano una canzone italiana che fa "...parole...parole...parole..."

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