Tutti gli italiani
conoscono il giudice Caselli perché ha ricoperto incarichi prestigiosi:
Procuratore Capo a Torino e Palermo nonché Capo del Dipartimento Penitenziario.
E’ il giudice che,
sulla base di una telefonata anonima ricevuta dal suo collega Violante, iniziò
la causa contro Andreotti che durò 10 anni, mentre il numero esatto di pagine
riempite nel corso del processo è ignoto, così come il gigantesco costo
complessivo del processo stesso conclusosi, come noto, con l’assoluzione di
Andreotti.
Ma quello che
colpiva, in Caselli, era la sua totale dedizione ai grandi princìpi come
l’onestà e, conseguentemente, la sua avversione per la corruzione dovuta,
spesso, a cupidigia di denaro.
L’immagine che mi
ero fatto di lui, nelle sue frequenti frequentazioni di TV e giornali, era di
un uomo per cui valevano solo i princìpi, mentre il denaro, che alimentava la
corruzione, ero certo che lo considerasse solo per quello che è: uno strumento
che misura il valore dei beni.
Insomma, per me
Caselli era un cavaliere senza macchia e senza paura, che spendeva la vita al
servizio del BENE, e il suo ciuffo candido gli dava un aspetto ieratico che
aumentava il suo carisma.
Questa premessa
perché si possa capire il mio stupore quando ho saputo che Caselli si è rivolto
al TAR per evitare che vengano ridotte le paghe dei giudici e,
conseguentemente, anche la sua pensione, che passerà a 300 mila euro l’anno.
Caselli ammanta il
suo ricorso con la difesa della dignità e indipendenza della magistratura, come
se questi alti requisiti dipendessero dalla quantità di denaro erogata.
Ora, a parte il
fatto che Caselli è in pensione, perciò la sua indipendenza non è minacciata,
con quel ragionamento egli riconosce il primato del denaro che non è più solo un
mezzo per stabilire il valore dei beni, ma un mezzo per stabilire la dignità e
l’indipendenza di qualcuno.
In questo modo egli
rivela ciò che nessuno avrebbe osato pensare, cioè di dare grande importanza al
denaro.
Un’importanza
enorme, dal momento che Caselli è l’unico magistrato ad avere intrapreso la via
impervia del ricorso, perché lottare, coram
populo, per evitare di essere costretto a vivere con solo 25 mila euro al
mese, ritenendola un’ingiustizia, espone ad un rischio che forse è peggiore
della disonestà: il ridicolo.
Crolla così,
ingloriosamente, un mito del nostro tempo: Giancarlo Caselli.