Adesso che è tutto fermo le carte si sono rimescolate e non si capisce proprio come andrà a finire.
Quello
che stava per diventare un affarone, per alcuni potentati economici, si
è trasformato in una guerra legale senza esclusione di colpi fra il
Comune di Spilamberto e i citati potentati dei quali si ignorava, e si
ignora tuttora, l'identità, cosa che a molti cittadini di Spilamberto
piaceva poco.Su questo argomento, in passato, si sono letti alcuni articoli solo sull'Eco del Panaro.
Ne ho scovato uno, apparso sull'Eco del Panaro del marzo 2006, con la firma di un tale Calderon de la Barca, che mi sembra interessante e che, pertanto, propongo ai lettori del blog.
Sogno di una notte di mezzo inverno
Calderon de la Barca
Mi trovavo in una trattoria nel centro di Bologna.
Improvvisamente si accese un brusio: era entrato Luca Cordero di Montezemolo.
Per motivi che solo i sogni rendono verosimili, Montezemolo venne verso di me
e, mostrando di conoscermi, chiese di sedersi e cominciammo a conversare. Dopo
un po’ emerse la mia cittadinanza spilambertese, e Luca dimostrò di conoscere
molte cose di Spilamberto, poi mi fece una domanda secca:
”Le piacerebbe
conoscere i retroscena della questione SIPE?”
“Altrochè” risposi io.
E Luca Cordero di Montezemolo, seduto di fronte a me,
cominciò a parlare.
“La FIAT, come lei
saprà, aveva acquistato la SIPE dalla BPD di Milano. La produzione di esplosivi
si rivelò cosa troppo delicata, sempre col fiato in gola ad aspettare
disgrazie….
Ci rendemmo conto, in
breve, che occorreva una riconversione industriale, e cominciammo a lavorarci sopra.
Il dato più incontrovertibile era che quell’area, dopo avere ospitato la
produzione di esplosivi per quasi cinque secoli, necessitava di una bonifica da
tutto ciò che poteva ancora trovarsi sotto il terreno, con una spesa ingente.
Fu allora che Gianni Agnelli buttò lì la proposta:
”non sarebbe meglio
cessare ogni attività e bonificare l’area ma per costruirci una zona
residenziale?”
Lei forse non sa che,
in FIAT, valeva più una battuta dell’avvocato che una relazione circostanziata
di chiunque altro, e così iniziammo a ragionarci, ma vi erano ostacoli che
sembravano insormontabili.
Come si poteva
ottenere l’autorizzazione a edificare in un’area tanto importante per quella
comunità, un’area che per secoli aveva rappresentato l’unica fonte di reddito e
nella quale erano custoditi i resti di centinaia di spilambertesi? E, per di
più, governata dal PCI, notoriamente poco tenero verso le speculazioni edilizie
dei capitalisti? Facemmo alcuni incontri, per sondare il terreno, con i vertici
del PCI. La porta non ci venne chiusa in faccia. Preparammo un progetto di
massima, lo presentammo all’amministrazione di Spilamberto e, dopo molto tempo,
il progetto non fu bocciato ma soltanto criticato: occorreva fare alcune
modifiche e, soprattutto, nell’area avrebbe dovuto nascere un “Parco
Tecnologico”. Erano modifiche ragionevoli e noi cominciavamo a crederci ma, a
questo punto, ci fu la doccia fredda: il progetto sarebbe andato in porto solo
dopo l’istituzione di una società, per l’attuazione dell’intera operazione, in
cui forze economiche gradite al PDS avessero il 45% delle azioni. Noi
riflettemmo per alcuni mesi e poi accettammo. E fu così che, alla fine, solo la
proprietà del 10% delle azioni di quella società fu reso noto. Il 45% che ci fu
imposto agiva attraverso una società estera e così anche noi preferimmo non
mostrarci ma agire attraverso una banca fiduciaria.”
Passarono parecchi secondi di silenzio poi Montezemolo mi
chiese, forse a causa dell’espressione della mia faccia, “Si sente bene?”
Effettivamente non mi sentivo bene, e poi mi chiedevo perché
l’avesse raccontato proprio a me ma, per fortuna, in quel momento le braccia di
Morfeo si sciolsero restituendomi alla rassicurante realtà.
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