LA CULLA DEL
ROVESCIO 3
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Caso Ruby, 7 anni a
Berlusconi
Così la magistratura
vuole uccidere la politica
Pubblicato da
Piero Sansonetti
il 25 giugno
2013.
Pubblicato in
gli Altri.
È una sentenza politica. Dichiaratamente
politica. La giuria di Milano ha voluto lanciare un messaggio all’opinione
pubblica: comando io. Io e basta. “Io”, sarebbe la magistratura. Vi
ricordate quel pezzo epico del film di Monicelli, con Alberto Sordi, quando il
Marchese del Grillo proclama: «È così perché io sono io e voi non siete un
cazzo»? Beh, la sentenza suona esattamente come quel proclama del Marchese. La
magistratura avverte la politica: “Non sei un cazzo”.
Il processo è
stato indiziario. Senza prove. Sicuramente senza vittime del reato (Ruby non è
vittima, dichiara di non essere vittima, e i concussi dichiarano di non
essere concussi) e probabilmente anche senza reato. Il processo si svolge tutto
attorno a una sola questione: la condanna. La condanna non è vista come la
conclusione di un iter giudiziario, ma come un imperativo categorico. La
condanna è la garanzia della vittoria del potere giudiziario e
dell’annientamento del potere politico. I giudici decidono di andare oltre le
richieste della Bocassini, per dimostrare il loro potere “assoluto e
incontrastato”, decidono di cambiare la specie di reato (concussione
costrittiva), decidono di cancellare i diritti politici di Berlusconi (“tu puoi
essere eletto dal popolo quanto vuoi, ma io nego il diritto al popolo di
eleggerti e a te di essere eletto”), infine decidono di incriminare tutti i
testimoni sgraditi perché sono loro i colpevoli della mancanza di prove. Non vi
stupite, ma il ragionamento è questo: dato che la condanna è inevitabile, e
dato che le prove mancano, chiunque abbia impedito l’acquisizione delle prove è
colpevole; i testimoni hanno impedito l’acquisizione delle prove, dunque la
sentenza senza prove è sentenza anche contro i testimoni non graditi.
La sentenza
contro Berlusconi non è grave perché inguaia Berlusconi, o danneggia il
governo, o mette in discussione gli equilibri politici. Quisquilie. È grave
perché mette in discussione lo stato di diritto. Anzi, demolisce lo stato di
diritto. La sentenza del processo Ruby segna in modo forse irreversibile la
sottomissione della politica al potere giudiziario e la fine conclamata
dell’equilibrio tra i poteri.
E adesso? La politica è fuorigioco. Per
tre ragioni. Perché negli ultimi vent’anni non è stata capace di riformare la
giustizia e di contenere la spinta alla sopraffazione della magistratura, e
certo non ci riuscirà adesso. Perché la sinistra, che avrebbe una vocazione
garantista e libertaria, ha rinunciato completamente alla sua natura e, nella
sua grande maggioranza, si è accucciata ai piedi dei giudici (basta leggere il
manifesto, che sembra la nave scorta del Fatto). Perché la destra difende
Berlusconi, ma è del tutto priva di una vera cultura libertaria, visto che la
sua storia è intrisa di autoritarismo, gerarchismo, poterismo. Mancano gli
anticorpi nella politica italiana, e si spiega così, solo così, la sua
disfatta. La disfatta della politica può essere la fine della “parentesi”
democratica (1945-2013).
L’unica forza in grado di reagire a questa
deriva, e di fare qualcosa per la difesa della democrazia – messa in
discussione dalla spinta reazionaria formidabile che viene dalla magistratura –
è la magistratura stessa. Esistono, tra i giudici, forze democratiche,
progressiste, in grado di difendere lo stato di diritto e ribellarsi all’ondata
bocassiniana e post-fascista? Può sembrare una domanda paradossale, ma non
credo. L’unica speranza è lì: che un pezzo della magistratura reagisca, in nome
degli ideali e in difesa della sua stessa funzione. Della funzione democratica
dell’ordine giudiziario.
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