Il 5 aprile 2013 pubblicai un
post che intitolai provocatoriamente “la
culla del rovescio”, per sottolineare aspetti del nostro sistema
giudiziario che provocavano perplessità.
Non pensavo, allora, che quel
post sarebbe stato solo il primo di una piccola serie che mette a nudo
situazioni incomprensibili per il normale cittadino.
La recente vicenda che mi ha
colpito riguarda Franco Birolo, un tabaccaio della provincia di Padova con
abitazione sopra il negozio.
Svegliato da rumori in piena
notte, Birolo si è alzato, ha preso la pistola, è sceso nel negozio dove ha
trovato un uomo: lo ha avvertito che era armato e gli ha intimato di andarsene.
Mentre ciò avveniva, ha intravisto l’ombra di un’altra persona alle proprie
spalle, si è girato di scatto e ha sparato uccidendo l’uomo.
In quei brevi istanti il
tabaccaio non ha potuto fare tutti gli accertamenti che potevano aiutarlo a non
essere incriminato, non ha potuto accertare se chi gli stava alle spalle fosse
armato, che intenzioni avesse ed altro, ma chi entra in casa tua di notte,
scassando porte o finestre, generalmente non vuole farti una visita di
cortesia: il tabaccaio ha avuto paura e ha sparato.
E’così stato condannato per
omicidio volontario in primo grado a 2 anni e 8 mesi di galera, nonché al
risarcimento della famiglia dell’ucciso per un importo di 325.000
(trecentoventicinquemila) euro.
Sta così prendendo piede una
giurisprudenza che tende ad assimilare il furto, anche se con scasso, a
un’attività lavorativa, e se qualcuno resta ferito o muore, esercitandola, ha
diritto a risarcimenti per sé o per la famiglia.
Nel mio precedente post dell’8
novembre scorso, “la culla del rovescio 5”,
raccontavo di un signore che aveva ferito un ladro e doveva risarcirlo per un
importo di 135.000 (centotrentacinquemila) euro, mentre nel presente caso il
ladro è stato ucciso ed è la sua famiglia a dovere essere risarcita.
La presente sentenza è ancora più
strana della precedente perché il Pubblico Ministero Benedetto Roberti, ovvero
la pubblica accusa, aveva chiesto al giudice un verdetto di assoluzione perché riteneva
che nel comportamento dell’imputato mancasse totalmente l’elemento della
volontarietà.
Ma il giudice, Beatrice Bergamasco,
non ne ha tenuto conto.
Su questa vicenda si è espresso
anche il Vescovo di Chioggia, Adriano Tessarolo, che ha scritto una lettera
aperta al giudice nella quale critica la condanna di Birolo con considerazioni
non molto distanti da quelle espresse nelle righe precedenti.
Con sentenze simili - scrive il
Vescovo - si corre il rischio di trasmettere un messaggio di questo tipo:
“violenti, scassinatori e ladri, continuate tranquillamente la vostra criminale
attività, tanto qui siete tutelati per legge, perché nessuno deve farvi del
male mentre siete nell’esercizio del vostro lavoro”.
Ora, può darsi che i successivi
gradi di giudizio ribaltino la sentenza di primo grado, ma intanto il tabaccaio
è entrato in uno di quei gironi che annientano le persone: spese di giudizio,
spese di avvocati, sempre meno tempo e voglia di dedicarsi alla propria
attività, complicazioni nei rapporti familiari e sociali, un marchio di condannato
che non ti toglierà più nessuno.
Che altro aggiungere?
Un in bocca al lupo a Franco
Birolo.
Nella foto in alto Franco Birolo
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