sabato 13 febbraio 2016

la culla del rovescio 6


Il 5 aprile 2013 pubblicai un post che intitolai provocatoriamente “la culla del rovescio”, per sottolineare aspetti del nostro sistema giudiziario che provocavano perplessità.
Non pensavo, allora, che quel post sarebbe stato solo il primo di una piccola serie che mette a nudo situazioni incomprensibili per il normale cittadino.
La recente vicenda che mi ha colpito riguarda Franco Birolo, un tabaccaio della provincia di Padova con abitazione sopra il negozio.
Svegliato da rumori in piena notte, Birolo si è alzato, ha preso la pistola, è sceso nel negozio dove ha trovato un uomo: lo ha avvertito che era armato e gli ha intimato di andarsene. Mentre ciò avveniva, ha intravisto l’ombra di un’altra persona alle proprie spalle, si è girato di scatto e ha sparato uccidendo l’uomo.
In quei brevi istanti il tabaccaio non ha potuto fare tutti gli accertamenti che potevano aiutarlo a non essere incriminato, non ha potuto accertare se chi gli stava alle spalle fosse armato, che intenzioni avesse ed altro, ma chi entra in casa tua di notte, scassando porte o finestre, generalmente non vuole farti una visita di cortesia: il tabaccaio ha avuto paura e ha sparato.
E’così stato condannato per omicidio volontario in primo grado a 2 anni e 8 mesi di galera, nonché al risarcimento della famiglia dell’ucciso per un importo di 325.000 (trecentoventicinquemila) euro.
Sta così prendendo piede una giurisprudenza che tende ad assimilare il furto, anche se con scasso, a un’attività lavorativa, e se qualcuno resta ferito o muore, esercitandola, ha diritto a risarcimenti per sé o per la famiglia.
Nel mio precedente post dell’8 novembre scorso, “la culla del rovescio 5”, raccontavo di un signore che aveva ferito un ladro e doveva risarcirlo per un importo di 135.000 (centotrentacinquemila) euro, mentre nel presente caso il ladro è stato ucciso ed è la sua famiglia a dovere essere risarcita.
La presente sentenza è ancora più strana della precedente perché il Pubblico Ministero Benedetto Roberti, ovvero la pubblica accusa, aveva chiesto al giudice un verdetto di assoluzione perché riteneva che nel comportamento dell’imputato mancasse totalmente l’elemento della volontarietà.
Ma il giudice, Beatrice Bergamasco, non ne ha tenuto conto.
Su questa vicenda si è espresso anche il Vescovo di Chioggia, Adriano Tessarolo, che ha scritto una lettera aperta al giudice nella quale critica la condanna di Birolo con considerazioni non molto distanti da quelle espresse nelle righe precedenti.
Con sentenze simili - scrive il Vescovo - si corre il rischio di trasmettere un messaggio di questo tipo: “violenti, scassinatori e ladri, continuate tranquillamente la vostra criminale attività, tanto qui siete tutelati per legge, perché nessuno deve farvi del male mentre siete nell’esercizio del vostro lavoro”.  
Ora, può darsi che i successivi gradi di giudizio ribaltino la sentenza di primo grado, ma intanto il tabaccaio è entrato in uno di quei gironi che annientano le persone: spese di giudizio, spese di avvocati, sempre meno tempo e voglia di dedicarsi alla propria attività, complicazioni nei rapporti familiari e sociali, un marchio di condannato che non ti toglierà più nessuno.
Che altro aggiungere?
Un in bocca al lupo a Franco Birolo.

Nella foto in alto Franco Birolo

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