domenica 7 giugno 2015

una festa mobile

I miei suoceri si sposarono il 2 giugno del 1955.
Era un giorno di festa, la Festa della Repubblica, perché in quella data si era tenuto, nel 1946, il referendum col quale gli italiani preferirono la Repubblica, come forma di Stato, alla Monarchia.
Nel 1980, quando cadde il 25° anniversario del loro matrimonio, il 2 giugno non era più giorno festivo, e la cosa venne sottolineata: “Ci siamo sposati in un giorno di festa e gli anniversari cadono in un giorno feriale!”.
Il 2 giugno appena passato i citati suoceri hanno festeggiato il 60° anniversario nuovamente in un giorno di festa, e ciò mi ha indotto ad alcune riflessioni.
Nel 1976, dopo l’ennesima crisi, venne formato un governo retto da un democristiano, Andreotti, con l’appoggio esterno del PCI di Enrico Berlinguer.
Questo strano governo non brillò certo, e uno dei pochi motivi per cui viene ricordato sta nella soppressione che attuò delle seguenti festività: 6 gennaio Epifania, 19 marzo San Giuseppe, 2 giugno Festa della Repubblica, 29 giugno SS Pietro e Paolo, 4 novembre Festa della Vittoria, Ascensione, Corpus Domini.
Si trattava di un provvedimento che doveva aumentare la produttività delle imprese.
Le feste religiose vennero semplicemente soppresse, mentre il 2 giugno, così come il 4 novembre, venne trasformato in “Festa mobile”, che non ha niente a che vedere con la Parigi del giovane Hemingway, ma significa che viene spostata nella domenica più vicina.
Da questa scelta risulta evidente la condiscendenza del cattolicissimo Andreotti: sopprimendo 5 festività religiose egli placava lo spirito anticlericale del PCI sperando di avere, in cambio, collaborazione.
Tuttavia si rivelò un grossolano errore la soppressione dell’Epifania che, oltre a rappresentare una pagina importate del Nuovo Testamento, costituiva un appuntamento molto radicato nella nostra cultura e nella nostra tradizione.
A certificare che si trattò di un grave errore sta il fatto che, dopo pochi anni, la Festività dell’Epifania dovette essere ripristinata.

Anche l’introduzione delle feste mobili suscitò molte perplessità.
Il 4 novembre era un momento di orgoglio e di coesione nazionale, e vederlo cessare per compiacere l’antimilitarismo del PCI a molti italiani non piacque, ma la trasformazione in “festa mobile” del 2 giugno fu veramente poco comprensibile: si trattava pur sempre della nascita della Repubblica Italiana, e un giorno di festa che lo ricordasse non sembrava affatto eccessivo.
In quegli anni, tuttavia, il PCI considerava la parola “Patria” sorpassata, ed è molto probabile che sia stata di Berlinguer l’idea di sopprimerla.
Ovviamente Andreotti non si oppose: il suo pragmatismo sconfinava spesso nel cinismo e, se aveva tolto l’Epifania, non si sarebbe certo stracciato le vesti per la fine della festa della Repubblica.
Credo però che la scelta di Berlinguer sia stata infelice.
In primo luogo, si trattava del giorno che aveva sancito la fine della dittatura fascista e della Monarchia Sabauda.
Il PCI questo lo sapeva bene, perché i suoi massimi esponenti non perdevano l’occasione di specificare, ad ogni citazione della parola “Repubblica”, “nata dalla Resistenza”, e non facevano mistero della loro avversione per la Dinastia Sabauda.
In secondo luogo, il 2 giugno 1946 rappresenta una pietra miliare nel difficile percorso dell’emancipazione femminile da un ruolo di subalternità: in quel giorno le donne italiane, che la strategia politica del PCI teneva in grande considerazione, ottenevano finalmente il pieno esercizio dei diritti civili.
Infine, la parola “Patria” stava lentamente emergendo dalla palude, la gente cominciava ad apprezzarla, e il capo di un grande partito avrebbe dovuto fiutare questo sentimento.
Conoscendo l’abilità del PCI nel piegare dalla sua parte tutto ciò che può servirgli, riflettevo, tra me e me, che Berlinguer, in quel frangente, commise un errore.

Per la cronaca, la Festa della Repubblica è stata ripristinata nel 2000.

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