I
miei suoceri si sposarono il 2 giugno del 1955.
Era
un giorno di festa, la Festa della Repubblica, perché in quella data si era
tenuto, nel 1946, il referendum col quale gli italiani preferirono la
Repubblica, come forma di Stato, alla Monarchia.
Nel
1980, quando cadde il 25° anniversario del loro matrimonio, il 2 giugno non era
più giorno festivo, e la cosa venne sottolineata: “Ci siamo sposati in un giorno
di festa e gli anniversari cadono in un giorno feriale!”.
Il
2 giugno appena passato i citati suoceri hanno festeggiato il 60° anniversario nuovamente
in un giorno di festa, e ciò mi ha indotto ad alcune riflessioni.
Nel 1976, dopo l’ennesima crisi, venne formato un governo
retto da un democristiano, Andreotti, con l’appoggio esterno del PCI di
Enrico Berlinguer.
Questo
strano governo non brillò certo, e uno dei pochi motivi per cui viene ricordato
sta nella soppressione che attuò delle seguenti festività: 6 gennaio Epifania, 19 marzo San
Giuseppe, 2 giugno Festa della Repubblica, 29 giugno SS Pietro e Paolo, 4
novembre Festa della Vittoria, Ascensione, Corpus Domini.
Si
trattava di un provvedimento che doveva aumentare la produttività delle
imprese.
Le
feste religiose vennero semplicemente soppresse, mentre il 2 giugno, così come
il 4 novembre, venne trasformato in “Festa
mobile”, che non ha niente a che vedere con la Parigi del giovane Hemingway,
ma significa che viene spostata nella domenica più vicina.
Da
questa scelta risulta evidente la condiscendenza del cattolicissimo Andreotti:
sopprimendo 5 festività religiose egli placava lo spirito anticlericale del PCI
sperando di avere, in cambio, collaborazione.
Tuttavia
si rivelò un grossolano errore la soppressione dell’Epifania che, oltre a
rappresentare una pagina importate del Nuovo Testamento, costituiva un appuntamento
molto radicato nella nostra cultura e nella nostra tradizione.
A
certificare che si trattò di un grave errore sta il fatto che, dopo pochi anni,
la Festività dell’Epifania dovette essere ripristinata.
Anche
l’introduzione delle feste mobili
suscitò molte perplessità.
Il
4 novembre era un momento di orgoglio e di coesione nazionale, e vederlo
cessare per compiacere l’antimilitarismo del PCI a molti italiani non piacque,
ma la trasformazione in “festa mobile”
del 2 giugno fu veramente poco comprensibile: si trattava pur sempre della
nascita della Repubblica Italiana, e un giorno di festa che lo ricordasse non
sembrava affatto eccessivo.
In
quegli anni, tuttavia, il PCI considerava la parola “Patria” sorpassata, ed è molto
probabile che sia stata di Berlinguer l’idea di sopprimerla.
Ovviamente
Andreotti non si oppose: il suo pragmatismo sconfinava spesso nel cinismo e, se
aveva tolto l’Epifania, non si sarebbe certo stracciato le vesti per la fine
della festa della Repubblica.
Credo
però che la scelta di Berlinguer sia stata infelice.
In
primo luogo, si trattava del giorno che aveva sancito la fine della dittatura
fascista e della Monarchia Sabauda.
Il
PCI questo lo sapeva bene, perché i suoi massimi esponenti non perdevano
l’occasione di specificare, ad ogni citazione della parola “Repubblica”, “nata dalla Resistenza”, e non facevano mistero della loro
avversione per la Dinastia Sabauda.
In
secondo luogo, il 2 giugno 1946 rappresenta una pietra miliare nel difficile
percorso dell’emancipazione femminile da un ruolo di subalternità: in quel
giorno le donne italiane, che la strategia politica del PCI teneva in grande
considerazione, ottenevano finalmente il pieno esercizio dei diritti civili.
Infine,
la parola “Patria” stava lentamente emergendo dalla palude, la gente cominciava
ad apprezzarla, e il capo di un grande partito avrebbe dovuto fiutare questo
sentimento.
Conoscendo
l’abilità del PCI nel piegare dalla sua parte tutto ciò che può servirgli,
riflettevo, tra me e me, che Berlinguer, in quel frangente, commise un errore.
Per
la cronaca, la Festa della Repubblica è stata ripristinata nel 2000.
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