Rolando Rivi
E’ appena passata
la ricorrenza del 25 aprile, una festa dai toni trionfalistici eccessivi, dal
momento che si tratta di rievocare la fine di una guerra perduta.
Nei primi anni
poteva avere senso fare una festa per ricordare il primo giorno di quiete dopo
5 anni di angosce, sofferenze, lutti e privazioni, da cui poche famiglie erano
state risparmiate.
Questa
condivisione di brutti ricordi, per fortuna passati, serviva anche da collante
per la pacificazione nazionale.
Poi, col tempo,
la festa ha preso una piega diversa.
Una componente
della resistenza, quella facente capo al PCI, cominciò ad appropriarsi
dell’epopea resistenziale a scapito delle altre forze politiche che vi
parteciparono, e ciò non aiutò la pacificazione nazionale.
Anzi, negli anni
ha ricreato un clima da guerra civile che sembrava definitivamente sconfitto.
Non è in
discussione il valore della Resistenza come movimento ideale per rivendicare la
dignità del nostro popolo anche se, sul piano militare, l’apporto dato agli
anglo-americani è stato modesto.
Per questo ideale
migliaia di persone hanno rischiato, e a volte perso, la vita, ed è giusto
riconoscere questi valori e onorarli, ma con maggiore sobrietà e, soprattutto,
senza arrivare a farne uno strumento di divisione e di scontro sociale.
Anche perché la
componente comunista, quella che ha messo il cappello sulla resistenza, ha
scritto non solo pagine di eroismo ma anche pagine orribili, come l’eccidio
della malga di Porzus, in cui una formazione di partigiani comunisti uccise una ventina di partigiani della brigata "Osoppo", o come gli omicidi di appartenenti al clero, avvenuti anche
vicino a noi.
Ad esempio
Rolando Rivi, un seminarista quattordicenne di Castellarano, la cui sola colpa
era di vestire l’abito talare, venne assassinato il 13 aprile del 1945 da un
gruppo di partigiani.
Per questo
omicidio vennero condannati a 23 anni di reclusione il comandante e il
commissario politico di un battaglione della Brigata “Dolo”.
Qualche anno fa
venne presentata una mozione, in Consiglio comunale a Spilamberto, per intitolare
una via a questo sventurato giovanetto vittima di odio cieco.
La mozione fu
accolta, ma non mi risulta che sia stata attuata.
Io credo che
l’intitolazione di una via a Rolando Rivi, oltre a costituire un segno di
rispetto per tutte le vittime del fanatismo ideologico, favorirebbe anche una
pacificazione che tarda troppo ad arrivare, e sono sicuro che gli spilambertesi
la apprezzerebbero.
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